La stucchevole disputa tra politici e magistrati
Ci risiamo. Se dovessimo individuare tra le molte - troppe - frasi che hanno fatto da contrappunto al dibattito politico nella settimana appena trascorsa, non esiteremmo ad individuarla in quella pronunciata da Matto Renzi nella conferenza stampa tenuta a Palazzo Chigi all’indomani del “no” dell’aula di Palazzo Madama all’arresto del senatore Azzollini. “Non siamo – ha detto il presidente del Consiglio – i passacarte della Procura di Trani”. La frase è incisiva e chiara quanto altre mai. Con essa Renzi ha voluto, senza perifrasi, rivendicare il ruolo e i diritti costituzionali del Parlamento, la sua autonomia rispetto al potere giudiziario. Ma, al tempo stesso, ha formalmente riaperto quel conflitto tra politica e magistratura che è stato, soprattutto nell’era berlusconiana, uno dei connotati meno esaltanti di questa tutt’altro che felice Seconda Repubblica. Ed ecco che si torna a parlare – il ministro della Giustizia Orlando è già all’opera – di una radicale riforma del sistema delle immunità parlamentari che dovrebbe essere incentrata sull’attribuzione alla Corte costituzionale della decisione sull’arresto di deputati e senatori. Ma torniamo a Renzi e alla sua presa di posizione. Ha ragione o ha torto il premier nel dire quel che ha detto ? La risposta non ammette dubbi e, senza ricorrere a sofisticate disquisizioni giuridiche, è sufficiente richiamarsi al signor de La Palisse per concludere che, se la legge conferisce al Parlamento il diritto di pronunciarsi pro o contro la richiesta di arresto di un suo membro, i parlamentari tale prerogativa hanno tutto il diritto di esercitarla come meglio credono, senza che nessuno, per questo, possa additarli al pubblico ludibrio. Né bisogna dimenticare che la nostra Carta costituzionale, all’articolo 67, perentoriamente sancisce che ogni parlamentare esercita le proprie funzioni senza vincolo di mandato, non dovendo, cioè, rispondere ad altri che alla propria coscienza. Ciò detto, il discorso non può, tuttavia, considerarsi concluso senza aver riflettuto su almeno alcune considerazioni che, quanto accaduto in Senato a proposito del “caso Azzollini” induce a fare. La prima, di carattere per così dire contingente, attiene al comportamento del Pd, cioè del patito del presidente del Consiglio. Abbiamo detto – e lo ribadiamo – che nessun vincolo può essere imposto al libero giudizio di deputati e senatori. Ma che partito è quello che, comunque, non è in grado di esprimere un proprio orientamento ? Nella vicenda di Azzollini, il Pd non è stato in grado di fornire ai suoi alcuna indicazione su come comportarsi. Il problema di fondo, tuttavia, è un altro. E’ giusto che i parlamentari godano del privilegio per cui il loro arresto deve essere autorizzato dalle Camere di rispettiva appartenenza ? E non gioverebbe alla credibilità dell’intera classe politica la cui impopolarità cresce a ritmo costante che essa fosse assoggettata alle stesse norme alle quali sono assoggettati tutti i cittadini ? In questo senso la riforma prospettata dal ministro Orlando (che prevede il persistere, per i membri del Parlamento, di un “trattamento particolare”) ci sembra, in verità, insoddisfacente e tale da far pensare ad un ‘operazione di tipo gattopardesco all’insegna del “tutto cambi perché nulla cambi”. La discussione, comunque, è aperta. Ma due condizioni dovranno essere rispettate. La prima è che potere politico e potere giudiziario pongano fine alla gara che da tempo hanno ingaggiato per stabilire chi conti di più. Una gara del genere mina alle radici il principio su cui si fonda uno Stato di diritto che deve avere alla sua base l’armonico rapporto tra i suoi poteri. Se finora questo rapporto è stato tutt’altro che armonico, la colpa è di entrambi. Della politica che ha invaso il terreno della Magistratura e della Magistratura che ha invaso quello della politica. E’ ora che tutti rientrino nei ranghi deponendo i reciproci rancori e una disputa francamente stucchevole. La seconda condizione concerne esclusivamente il mondo della politica poiché è netta la sensazione che all’interno delle forze politiche vi sia chi, sui tempi della giustizia (e il “caso Azzollini” ce ne ha offerto una testimonianza) è pronto a innestare mediocri manovre politiche. Non siamo nati ieri e sappiamo che in politica, come in guerra e in amore, tutto è consentito. Ma anche qui c’è un limite. E va rispettato.