La vecchia sinistra va all’assalto del Pd
C’è una vecchia sinistra che, nonostante gli sforzi del buon Piero Fassino per riportare sotto un'unica bandiera le forze che compongono il composito arcipelago di quel- lo che fu il Pd, affronterà (e sarebbe più esatto dire ha affrontato) da sola quella che s'annuncia come una delle più turbolente campagne elettorali della storia repubblicana. Questa vecchia sinistra, sorda a ogni invito e a ogni lusinga, refrattaria a ogni compromesso, fa leva soprattutto su quattro personaggi: Massimo D'Alema, Pier Luigi Bersani, Pietro Grasso, raccolti sotto le insegne del Mdp, e Susanna Camusso, segretaria della Cgil. Ci sono, è vero, in questa congrega di nostalgici, anche altri personaggi, che vanno dai "reduci" di Sinistra italiana a Roberto Speranza a Giuseppe Civati, ma si tratta di figuranti, elementi di secondo piano, probabilmente frustrati dal non essere riusciti ad entrare nell'Olimpo dei pezzi da novanta della politica. Ma i protagonisti del duello che - ancora una volta nella sua tormentatissima storia - la sinistra si accinge a vivere al suo interno, sono loro: D'Alema, Bersani, Grasso e Camusso. Va riconosciuto che, in una classe politica dai connotati tutt'altro che esaltanti, D'Alema e Bersani non occupano gli ultimi gradini della graduatoria. Si potrebbe far ricorso, per loro, alla vecchia locuzione latina del "beati monoculi in terra caecorum", beati i monocoli nella terra dei ciechi. Ma l'uno e l'altro hanno insopportabili limiti: il primo è condizionato da un egocentrismo che lo porta a sopravvalutare se stesso ("capotavola - sembra abbia detto un volta - è il posto dove siedo io"), a nutrire profondo rancore per chi non riconosce la sua leadership; il secondo ha il suo tallone d'Achille in un carattere evidentemente fragile che lo rende succube della prepotente personalità del primo. Questa "politica del rancore" di cui D'Alema e Bersani si sono fatti "portabandiera" è destinata a produrre due risultati: il primo è quello di far sì che il Pd finirà, probabilmente, con il perdere il primato tra le forze politiche, a vantaggio del centro-destra o dei "cinque stelle"; il secondo è che il gruppo degli scissionisti, chiuso nel suo isolamento tutt'altro che splendido, finirà con lo scomparire dalla scena. Non è un caso, del resto, che non pochi parlamentari che hanno aderito alla scissione, comincino a preoccuparsi di una rielezione che si presenta assai problematica. Quanto a Grasso, abbarbicato con le unghie e con i denti alla poltrona di presidente del Senato, la sua scelta appare il frutto di un'illusione: quella di approdare ad una presidenza del Consiglio. Diverso è il discorso per la Camusso. La segretaria della Cgil, infatti, segue una linea di politica del tutto ottusa, che definiremmo "la politica del niet" che ha, cioè, come unica linea di comportamento, quella di dire sempre e comunque "no" alle proposte del governo e di far leva, come unici strumenti dell'azione sindacale, sullo sciopero e sulle manifestazioni di piazza. Si tratta di una linea di comportamento decisamente superata che non sembra aver portato la Cgil ad ottenere risultati particolarmente brillanti. Anzi, per la verità, un risultato lo ha ottenuto: rompere l'unità sindacale perché, come dimostra quanto recentemente accaduto a proposito della riforma pensionistica, sempre più evidente è la dissociazione della Cisl e della Uil dalle scelte della Cgil. D'Alema, Bersani, Grasso, Camusso, ecco la "banda dei quattro " della sinistra (c'è ne fu una, anni fa, nella Democrazia cristiana che non ebbe molto successo) o i quattro cavalieri di quella che potrebbe essere l'apocalisse di questa parte politica.