Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

La vittoria del Napoli e le ragioni del cuore

Opinionista: 

Sulla psicologia delle masse e delle folle si sono cimentati mostri sacri, da Joseph le Bon a Sigmund Freud, ma nessuno aveva ancora visto il terzo scudetto el Napoli, che avrebbe regalato un capitolo a sé. Tra lo stupore generale quello che ha meravigliato, stupido, lasciato perplessi molti è stato “il fenomeno” mondiale della festa e della gioia, e l’altrettanto generale, trasversale e mondiale festa che ha accomunato tanti, finanche i non tifosi del Napoli, ed ha coinvolto anche chi non è di per sé patito di calcio. Partiamo dal fenomeno mondiale. In tutto il mondo esistono comunità di italiani, ma come ben sanno gli italiani all’estero, napoletani e siciliani sono gruppi a sé. E lo hanno dimostrato. Sono amati, inclusivi, caciaroni, e si sono ricavati una dimensione unificante. E lo si è visto nelle piazze, non ultima Trafalgar Square che il sindaco di Londra ha dovuto concedere ai festeggiamenti, seppur in parziale concomitanza con l’incoronazione di Carlo III (anche lui socialmediaticamente coinvolto): dai napoletani festanti non c’era nulla temere! Nessuna squadra di nessuno sport (se non forse il cricket per gli indiani) è capace di una cosa simile. E di questo se ne devono tutti fare una ragione. Poi c’è il fenomeno nazionale, e questo è molto più articolato. Il tifo napoletano, in un momento di forte polarizzazione e al di là delle rivalità storiche, ha dimostrato di poter fare una festa inclusiva e trasversale. Una festa – si sarebbe detto in altri contesti – per e non contro. E forse anche il momento storico, politico, culturale, ha favorito questa voglia di “stare assieme oltre le divisioni”, e nulla più di Napoli e della napoletanità è simbolo di inclusione e di comunanza. Un popolo che per sua natura, indole e forse anche topografia ha sempre dato più che ricevuto, e sempre accolto. Sarà l’apertura del mare e il fatalismo del vulcano, la voglia di essere apotropaici anche con e contro noi stessi, dentro di noi, noi napoletani, di nascita o di adozione, in fondo, non odiamo nessuno. Come diceva De Crescenzo, noi siamo un popolo di amore, e il resto del mondo se ne deve fare una ragione. Poi c’è un fenomeno generazionale, e su questo ha inciso enormemente il momento massmediale e culturale che sta vivendo la città. Da “Un Posto al Sole” a “I bastardi di Pizzofalcone”, da “Mina Settembre” al “Commissario Ricciardi”, la città è diventato “lo scenario” rappresentativo dell’Italia per le nuove generazioni, che si sentono tutti parte emotiva ed emozionale delle vicende di “Mare Fuori”. E se vince la squadra dei ragazzi di “Mare Fuori”, vincono tutti i ragazzi. È per questo che puoi essere di Milano e di Torino, e tifare Toro, Inter, Milan e forse anche Juve, ma per questa generazione Napoli è implicitamente e inconsciamente anche una seconda squadra del cuore e si festeggia con lei, perché è un po' come sentirsi a casa nella città che alla peggio si conosce per averla vista ogni giorno in tv. E ti sembra di viverci e di conoscerla un po'. Anche di questo, è bene che ce se ne si faccia una ragione. Non è il riscatto del Sud, non c’è la rivincita delle squadre meno ricche e spendaccione, non c’è l’orgoglio di polo. Questa volta no, ed ancora una volta la retorica politica e sociologica è indietro rispetto ai tempi: ancora una volta le nuove generazioni e i nuovi pensieri rischiamo di non vederli arrivare. Con la loro forza e il loro impeto, marittimo quanto vulcanico. Anche di questo, è bene farsene una ragione. Ma alla fine noi restiamo una città con profonde radici filosofiche e metafisiche greche, con tutte le influenze mediterranee che si vogliono contare. E quindi se il cuore ha ragioni che la ragione non può capire, facciamocene un’altra di ragione: che questa vittoria è tutta una questione di cuore, e il cuore ha una forza energetica e unificante e pacificante che nessuna ragione avrà mai. Quindi più che farsene una ragione, fatene una questione d’amore (che anche la salute ci guadagna).