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L’abitudine al potere è questione di finezza

Opinionista: 

Un famoso aforisma di Giulio Andreotti, recitava "il potere logora chi non ce l'ha". Significava che coloro abituati a combattere per il potere, in qualsiasi forma, specie quello politico, venivano accreditati dal colto e ironico statista, di capacità personali se non simili alle sue, quantomeno sufficienti per partecipare alla corsa al successo, ma oggi non è più così. Infatti, negli anni a seguire, coniò un titolo, ch'era tutto un programma, "Onorevole, stia zitto", quando incominciò a rendersi conto del depauperamento culturale ed intelletivo dei suoi colleghi, e dell'imbastardimento educativo della società contemporanea. Oggi, possiamo affermare che il logorio del potere è una costante in ampi settori della vita politica ed imprenditoriale, direttamente proporzionale, in verità, al background culturale, educativo e storico del potente di turno, sia un leader politico, un responsabile apicale di cariche legislative o un qualsiasi imprenditore, spesso un parvenue che ha raggiunto il successo economico con prodigiosa sfrontatezza: tutti in comune hanno il tratto arrogante, spesso stemperato da una cultura dell'ultima ora, magari acquistata. Donald Trump sta rinverdendo questa scia, professandosi emulo di altri noti, che specialmente in Italia, spaziano dall'industria alla vita pubblica, dal mondo sportivo alla politica, in bella ed ignorante scioltezza: è la nuova etica globale, l'esaltazione del potere economico sulle menti e sul libero arbitrio. Non c'era bisogno della sfera di cristallo per preconizzare l'imbarazzo, la pericolosa confusione nello scenario interno ed internazionale che sta, di fatto, caratterizzando gli inizi aberranti della presidenza Trump. Ormai il biondone straripante è una proposta fissa delle agenzie di scommesse internazionali, un suo "dietrofront" o una sua ennessima "gaffe" sono offerte con quote ben più allettanti del passaggio ai quarti di Champions del Napoli o della permanenza di Sarri sulla panchina azzurra, il destino del mondo ormai si sta scommettendo in quote! Quando subito dopo la sua elezione, democratica ma pur sempre manipolata dai "giochi" dei grandi elettori, qualcuno licenziò con sufficienza le manifestazioni di protesta sotto la Trump Tower, in giro per gli States e nel mondo, scrivemmo le nostre perplessità e i timori, perché la buona conoscenza del tessuto popolare americano ci convinceva del pericolo della profonda divisione emozionale e idealistica che Trump avrebbe potuto causare nell'opinione pubblica degli Usa, nazionalista, ma libertaria e consapevole che muraglie e diktat xenofobici avrebbero scalfito la produttivita economica e il Dna storico della loro nazione. L'esercizio del potere richiede riflessione, conoscenza seria delle problematiche economiche e di sviluppo interagenti in una globalità che, nella maggior parte dei casi, è destabilizzante negli equilibri interni nazionali - in tal senso, l'Europa, o la parvenza della sua unità, è un esempio da studiare con un'attenta critica, non un errore da reiterare - e abitare alla Casa Bianca significa saper superare le divisioni politiche, le sperequazioni esistenziali e le conseguenti tensioni sociali: non basta più una dichiarazione di guerra per unificare un paese. C'è il rischio infatti di una solitudine abissale, che non è quella responsabile e gloriosa dell'uomo solo al comando, ma deriva dall'abbandono e dalla caduta di credibilità, e se Trump non sarà in grado di correggere la rotta, già da subito, durante il suo percorso ad ostacoli, è destinato a cadere prima della fine del suo mandato: rovinosamente, tragicamente o con eleganza, dipende soltanto da lui. L'arte della diplomazia è un prodotto dell'applicazione continua, di una solida cultura, della superiore conoscenza umana, psicologica e storica del tuo interlocutore, avversario o alleato che sia, non un mero esercizio di ipocrisia come amano definirla gli sprovveduti, spesso esaltati da una stampa compiacente, che non sembra però proliferare negli Stati Uniti, a differenza dei tanti imbarazzanti esempi nostrani. Qui, piccoli uomini meschini e potenti crescono, vivono la loro stagione e poi spariscono nel nulla come pattume cartaceo, in un Paese dove è facile intitolare strade ed erigere statue, per poi derubricarle o schiantarle nella polvere, dove i fedelissimi di ieri diventano i congiurati di oggi. Un noto imprenditore, intervistato la scorsa settimana sul senso del suo successo, ha "enunciato" che il suo segreto è guardare sempre al futuro, perché il passato risulta superato per definizione. È il manifesto di questi potentucoli odierni; negano e bruciano il passato, come i libri ai tempi del terzo Reich, per non confrontare la propria approssimazione educativa con la lezione della Storia, dimenticando che abituarsi a lungo al potere è innanzitutto una questione di stile, un "esprit de finesse" che rende la differenza dei grandi uomini, nel bene e nel male.