L’assalto dell’Overtourism e la questione residenziale
Autocitarsi suscita sempre un po’ di disagio ma a volte si rende necessario farlo. Anni fa, nelle mie frequenti visite a Nicola Pugliese, autore di Malacqua, nell’“oraziano” ritiro di Avella, dove le sue pregresse “pungenti stilettate” spesso divennero miti esternazioni, parlando di Napoli, mi diceva: “È una città che vive tra incubazione e incubo. Incubazione di tante, remote e recenti problematiche, guai e grane e l’incubo che possano scoppiare e aggravarsi”. Un contesto, spiegava, in cui può succedere e succede di tutto, che si parli, si urli, si preghi, si pianga, si rida ma anche e soprattutto che, dopo tanto agitarsi, non si faccia nulla. Questo lontano e saggio discorso, riassuntivo del paradossale, contraddittorio mondo napoletano, mi è tornato in mente nel valutare i primi positivi bilanci degli afflussi turistici natalizi tornati a cifre record anteCovid. E però, allo stesso tempo, nel dover prendere anche atto di più di qualche oggettivo timore per la parallela constatazione che, di questo passo, la città con i suoi servizi, o meglio, disservizi, non potrà più reggere a questi flussi. Prima o poi si andrà incontro a una impraticabilità di campo, a ineluttabile invivibilità. Ora senza andare dietro astruse teorie, a monte di questo timore c’è un semplice principio di fisica, che spiega con semplicità le conseguenze di ingorghi insostenibili. Ogni contenitore ha un suo specifico volume, oltre il quale non si può andare, se lo si supera c’è la tracimazione. A Napoli ne siamo già vicini; in quartieri in cui era un piacere vivere, ora è addirittura impossibile rincasare. È tempo di valutare attentamente le compatibilità residenziali. Un esempio? Se, per iscriversi a certe facoltà universitarie, soprattutto in medicina, vige il “numero chiuso” e ogni reclutamento di medici tuttavia è sempre limitato, non vediamo perché questo criterio o qualche correttivo del genere non si possa adottare contro i rischi dell’“Overtourism”. Mariano d’Antonio fu tra i primi a prevederne con determinazione il rischio soffocante. Memorabile l’intemerata di Galli Della Loggia, in una intervista resa a Mirella Armiero sul “Corriere del Mezzogiorno” del 31 agosto del 2019, in cui disse: “Vergognoso quello che il sindaco De Magistris ha fatto sul lungomare. In pratica ha svenduto un bene della città a quattro cinque pizzerie che lo hanno trasformato in un’ enorme mensa. È vero che si tratta di catastrofi legate alla generale crescita smisurata dell’industria del turismo e del divertimento, ma vanno posti dei limiti”. Inviti e moniti rimasti inascoltati. “In provincia di Napoli dal 2018 ad oggi, mentre il numero delle imprese commerciali al dettaglio è rimasto sostanzialmente intorno a 69mila, nelle attività di ristorazione si è passati dalle 18.155 del 2018 alle 19.957 del 2022: duemila in più”. Cifre su cui istituzioni, operatori e rappresentanti dei cittadini, non oso dire più i “politici”, avrebbero dovuto riflettere non poco. Ci sorprende anzi il commento del presidente della Camera di Commercio, il quale ha dichiara candidamente: “Napoli non ha avuto il tempo di reagire”. Noi comprendiamo la sua prudenza, ma, in questa circostanza, bisogna parlare chiaro e, dire come stanno realmente le cose. La classe dirigente non ha saputo “prenotare il futuro”, saperne leggere le dinamiche e governarle. Napoli si è disinteressata delle funzioni comuni, cui ogni città deve far fronte fra sempre maggiori difficoltà come “la funzione residenziale” , scriveva sul “Giornale nuovo”, in “illo” tempore, il 18 settembre del 1975 Francesco Compagna. Che sottolineava: “Purtroppo questa funzione, la più comune tra quelle urbane, risulta a Napoli degradata oltre i limiti del sopportabile, sia che si consideri il problema delle fogne o le condizioni abitative, molto potrebbe fare un’ amministrazione comunale disinteressata ai fini del riordinamento e del risanamento della nostra città”. Nell’arco di un quarantennio di cicliche enfatizzazioni di sindaci e giunte mediocri, si è avuto soltanto un groviglio paralizzante di progettualità incompiute in tutti i punti cardinali da Ovest ad Est, senza un moderno piano di riassetto di respiro metropolitano policentrico, che sarebbe stato molto importante per il nostro tradizionale terziario. Aveva ragione Antonio Martusciello quando disse: “Napoli è un laboratorio di analisi senza esiti”. Non si è mai fatto un articolato processo politico alla classe dirigente di sinistra da mezzo secolo a Palazzo San Giacomo ma soltanto qualche fervorino da “toccata e fuga”, cioè il resto di niente.