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L’autonomia differenziata e i poteri in mano alle Regioni

Opinionista: 

La riflessione sull’autonomia differenziata pone sempre nuovi interrogativi, ma fa emergere soprattutto il ruolo, spesso trascurato, della responsabilità politica. Un tema che invita a riflettere sulle “opportunità di crescita” delle Regioni – come chiarisce il ministro per gli Affari Regionali e le autonomie – ed impone di definire, chiaramente, le prestazioni ed i servizi, prima di definirne i “Lep”, intesi come livelli essenziali. Non esistono, infatti, “Regioni di serie A e di serie B”, ma solo prestazioni e servizi da erogare. “Non sono condivisibili, quindi – chiarisce il ministro Calderoli –, i timori evidenziati dal Presidente di Confindustria Carlo Bonomi, spaventato dalla possibilità di troppi poteri in mano alle Regioni”. Una motivazione condivisa anche da Gaetano Manfredi. Il sindaco della Città metropolitana di Napoli pone la domanda se il “Sud sia un problema”. La risposta immediata che offre alla riflessione precisa che il “Sud ha delle difficoltà, ma è anche una incredibile opportunità! Guardiamo Napoli – chiarisce il sindaco –, una città che ha un’esplosione turistica straordinaria, una creatività incredibile. È il palcoscenico di gran parte degli eventi teatrali, cinematografici e canori del paese, con tanto talento, tanta impresa creativa e innovativa”. Manfredi precisa: “Non siamo quelli del reddito di cittadinanza. Dobbiamo ragionare su quali investimenti fare, su cosa scommettere. Ma ci vuole gente che sa stare sul pezzo, non che discute di luoghi comuni”. Una lettura che invita a soffermarsi, ancora una volta, sulle motivazioni addotte da quanti si oppongono all’autonomia regionale, ricorrendo all’espressione: “Troppi poteri in mano alle Regioni”. Una lettura che – secondo quanto prospetta la maggioranza dei detrattori dell’autonomia regionale – non vuole travolgere l’“organica unità dello Stato”, marcando la “divisione dei poteri”, che sembra esporre “il lato più debole” proprio, nel “disconoscere l’organica unità dello Stato”. Una possibilità giuridica che aveva esortato lo statista Vittorio Emanuele Orlando a proporre, “durante una seduta dell’Assemblea Costituente”, un “ordine del giorno”, “volto a eliminare dalla Costituzione, ovvero a contenere in un preambolo, le norme relative ai rapporti etico-sociali, alla famiglia, alla scuola, alla salute, all’arte e alla scienza”. Una proposta alla quale si “oppose Costantino Mortati, affermando così la forza del potere costituente”. Una dimensione che indusse Orlando, con la prefazione che legge la Costituzione della Repubblica Italiana, ad evidenziare come “la nuova Costituzione d’Italia ponga, appena nata, la questione categorica ed ardua” di “apprestare i mezzi”, “atti all’interpretazione di quella fonte di diritto”, “la più solenne, almeno formalmente, nella vita dei popoli moderni”. Un timore sembra percorrerlo, quello che venga travolta, con questa scelta giuridica, l’“organica unità dello Stato”. La scelta politica che traccia l’autonomia regionale, prospettata da Roberto Calderoli, fuga questo timore. La ragione giuridica risiede proprio nella possibilità, per la Regione, di avanzare richieste: “una Regione – chiarisce il ministro – può chiedere una materia o una parte di questa, a fronte però di un negoziato con il governo. E a seguire il Parlamento esprime un atto di indirizzo sulla preintesa e un voto a maggioranza assoluta sull'intesa definitiva. Non è che una Regione chiede e in automatico viene accontentata”. Una scelta giuridica che delinea anche una chiara responsabilità politica di chi dovrà rispondere delle scelte politiche compiute.