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L’autonomia ostacolata dalle “egemonie” locali

Opinionista: 

Tra il 1946 e il 1947, nei giorni in cui si preparava la nuova Costituzione, Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei 75 parlamentari che la elaborarono, in una serie di interventi esplicativi sui “lavori in corso”, sostenne che “la innovazione più profonda nell’Ordinamento strutturale dello Stato, su basi di autonomia, avrebbe potuto avere una portata decisiva per le sorti del Paese con il Comune, unità primordiale e la Regione, zona intermedia e indispensabile. Non tralasciando di sottolineare che Giuseppe Mazzini, il più grande unitario del Risorgimento, aveva mostrato di prediligere la Regione, in linea con la proposta di più caute forme di decentramento caldeggiate da Cavour ed esponenti della sua scuola”. Certo se, all’atto dell’unificazione nazionale, si fosse mantenuto qualcosa delle preesistenti autonomie, sarebbe stato altro il discorso. Ma, per il timore e lo spettro dei “vecchi stati”, prevalse il modello accentratore, oggetto di dispute su inconvenienti e anche vantaggi. Con un convincimento conclusivo sulla importanza “del governo alla porta degli amministrati” meglio ancora però di una auspicabile educazione “degli amministrati nel governo di sé medesimi". Come si augurò Guido Dorso, purtroppo inascoltato. Ruini, entrando nel merito dei “principi e i metodi della legislazione sulle esigenze dell’autonomia e del decentramento, aggiunse: “Ormai il Parlamento non può fare le leggi di vecchio stampo, minute e particolareggiate. Il loro numero va aumentando per l’inevitabile sviluppo dello Stato. E allora, sull’esempio di altri Paesi, si faranno leggi che stabiliscano - principi, leggi cornici - e poi il governo o altri organi dello Stato, determineranno le norme di integrazione e di attuazione dei principi di base”. Alla luce degli odierni sviluppi e diatribe il “piatto piange” ancora. Ruini, pur preconizzando carichi e ingorghi legislativi, non poteva immaginare un futuro protagonismo istituzionale tra rivalse, ribellismo demagogico, velleitarismi e autoreferenzialità da parte di alcuni sindaci di grandi centri, da far addirittura ipotizzare una “Repubblica delle città”. Dimostratisi poco votati a un decentramento ma, al contrario, a uno “splendido”, indisturbato accentramento. Seguiti a ruota dal deludente comportamento delle Regioni, i cui presidenti si sarebbero addirittura autoproclamati governatori. Un titolo in cui si condensa un’idea egemonica, feudale delle istituzioni. Una volta era la morfologia della penisola a determinare geograficamente certe divisioni, successivamente a complicare le cose è la morfologia dei partiti personali e di tutto ciò che di negativo hanno prodotto. In un quadro confuso, in un affastellamento di ambizioni, al resto ha provveduto il malinteso concetto della elezione diretta, che ha spinto più di qualcuno di loro a sentirsi il pilastro di “autonomie autoreferenziali”, al disopra di ogni ragionevolezza. Gli esempi più clamorosi sono venuti dal Comune di Napoli e dalla Regione Campania con campioni di un “lpermunicipalismo “ e di un “Panregionalismo” senza pari. Prima con Bassolino sindaco e governatore, poi con de Magistris sindaco capopopolo anche di una Città metropolitana solo sulla carta. E ancora con De Luca governatore di un disegno strategico, fondato sul “protettorato di Salerno”, di cui è stato “supersindaco”. Era inevitabile, dopo esempi così clamorosi, che venisse vanificato ogni auspicio di decentramento e, allo stesso tempo, svalutata l’idea in sé di autonomia, lasciando aumentare il sospetto di essere abbandonati, ancora una volta, a dover subire le scelte di un Nord ingordo. Per come sono giunte a stare le cose, occorre un nuovo rapporto fra centro e periferia: possibile soltanto con un decentramento di funzioni e responsabilità, finalizzato a rivedere l’assetto regionale, diversamente si andrà sempre peggio. Troppe le “leggi cornici” ancora spoglie, senza contenuti. Speriamo che prevalgano buonsenso e ragione per trovare un’intesa su un’autonomia giusta, riparatrice di una serie di macroscopici inganni, causa di ritardi imperdonabili nel conseguimento degli obiettivi più appaganti per il Sud.