Le dimenticanze di Saviano su Caivano e la sinistra
In una delle tante rubriche, in cui riesce a diluire il suo “sovrano sapere” - ci riferiamo in particolare alla rubrica dell’8 settembre scorso nel supplemento 7 del Corsera sotto il logo “Leggermente fuori fuoco- Sguardi ”- Roberto Saviano è tornato sulla tragedia di Caivano. Su cui è utile tener sempre vivo il dibattito per capire e porre rimedio a declini degenerativi. Invece di illuminarci però, di “mettere a fuoco”, come ci si sarebbe aspettato da uno studioso e narratore più autorevole in materia, le oggettive e maggiori responsabilità delle istituzioni locali ad ogni livello per un degrado drammatico, uno sfascio sociale e morale; a dispetto delle rassicurazioni sagge della sigla, anche lui ha finito per intonare la solita zolfa qualunquista e denigratoria sull’abbrivio di “Piove , governo ladro”. Un aforisma sempre comodo, ogni qualvolta si fa prevalere la demagogia sulla obiettività per scansare verità scomode e confondere le idee. E che vi sia in tutto questo un pregiudizio gigantesco risulta molto netto e chiaro nell’aver messo sullo stesso piano i governi del passato e l’attuale governo, che è intervenuto subito nel caso di Caivano come nessuno mai aveva fatto in precedenza in vicende del genere con un maxiblitz e retate mirate. Che stanno continuando. Dire è “tardi, troppo tardi” essere intervenuti “in un ghetto che le organizzazioni criminali considerano storicamente e a propria disposizione e che i governi, succedutisi negli ultimi quattro decenni sarebbero dovuti intervenire ben prima”, era una riflessione che, per correttezza, andava accompagnata da una nota di apprezzamento per l’esecutivo Meloni, molto tempestiva in un primo repulisti e nel rapido avvio della bonifica di questi territori. Al di là di tutto questo: la verità su Caivano è ben altra da quella fin qui raccontata, è che lo sfascio deriva da leggerezze e irresponsabilità delle istituzioni locali ad ogni livello, di chi ha permesso e consentito concentrazioni edilizie, rivelatesi pericolose come la “baliue” francesi, e di chi, nonostante il varo della Città Metropolitana ha lasciato peggiorare le cose, in molti centri. Che, dopo più di un secolo, continuano a essere “le corone di spine” come le definì agl’inizi del ‘900 Nitti, il sognatore della “Grande Napoli”. Ma v’è molto altro, che oggi va sottolineato, attraverso un discorso di più vasto raggio, che parte da lontano e si riferisce alle vecchie capitali, che, negli anni, hanno subito un degrado nel proprio assetto di convenienza civile, urbanistico, specialmente sul piano delle loro funzioni di impulso e di riferimento dello sviluppo economico e sociale delle aree vicine. Su cui oggi, dopo il caso Caivano, è quanto mai opportuno tornare per ricordare un lontano intervento che Giuseppe De Rita riservò su questo tema molti anni fa, in occasione del G7 del luglio del 1994, con Bassolino sindaco da pochi mesi, dal dicembre del 1993, su “Napoli ex capitale che non faceva eccezione nel montante degrado”. “Era una grande capitale di stampo e di livello europeo ancora nel primo ‘800 - scrisse - oggi però non ha quel pulsare di funzioni verso l’esterno che fa le capitali. Napoli ha conservato un’autoreferenzialità bassa, quasi da piccolo sottosistema , chiuso in se stesso, nei suoi “chichés abitudinari”, nei suoi comportamenti semidevianti, stereotipati, nei suoi guai urbanistici e umani, nello stesso degrado dei vicoli e delle informe periferie. Non c’è osmosi con le aree circostanti se non forse per i fenomeni di devianza”. Più chiari di così non si poteva essere. Da allora sono passati trent’anni, si sono succeduti quattro sindaci tutti di sinistra, seppur di coloriture diverse, definitisi nelle loro dichiarazioni programmatiche decisi a lavorare per una grande Napoli, ma la situazione si è aggravata. Prendersela sempre con i governi nazionali significa non voler vedere uno stato di cose tutt’altro che soddisfacente nelle istituzioni locali, soprattutto delle “aree metropolitane”, sotto gli occhi di tutti. In un clima di mistificazione, rivolto a nasconderlo, addirittura a confutarlo, bisogna essere tutti grati - quale che siano credo politico e simpatie - a Goffredo Fofi, che, sul “Corriere del Mezzogiorno” ha detto ier l’altro su violenza e declino parole di verità e di elevato valore civile: “Se le cose vanno male, la colpa è anche del vuoto della politica e soprattutto della sinistra che si è suicidata o che ha lasciato il posto a delle parodie di se stessa”.