Le esternazioni di Berlusconi non sono levate di testa
Erano ampiamente prevedibili le reazioni alle dichiarazioni, volutamente provocatorie, rilasciate ai media da Silvio Berlusconi circa le strategie che si andrebbero adottate per la gestione della gravissima crisi internazionale seguita all’aggressione russa ai danni della Repubblica Ucraina. Secondo l’anziano leader, non di sola elargizione d’armi si dovrebbe parlare; ma d’una prospettiva pacificatrice, che accettasse alcune annessioni dei territori occupati dalle forze di Vladimir Putin e d’un piano di ricostruzione del devastato Paese. Ed erano prevedibili le reazioni – anche se forse eccessive: le parole vengono da un uomo privo di dirette responsabilità di governo – dato che il magnate milanese è notoriamente, e da lunga pezza, amico dell’autocrate moscovita. Certamente, sarebbe stato preferibile che quelle sollecitazioni verso un pensiero alternativo rispetto all’unico a godere del salvacondotto internazionale non fossero state l’esternazione estemporanea ed inutilmente polemica, in esito ad una trasferta verso il seggio elettorale allestito per le regionali lombarde; molto meglio si fossero presentate quale espressione matura ed argomentata in una sede propria, magari dopo adeguati confronti all’interno della coalizione. Ma l’uomo è quel che è, ed al suo originale carattere si devono gli enormi successi e gli altrettanto enormi insuccessi della sua vita. Ma, fatta la tara di forme e modi – una tara che inesigibile però dal dibattito pubblico, dove le forme manifestative hanno più peso dei contenuti di cui sono supporto – le opinioni del capo di FI non sono affatto frutto di levate di testa dovute a passionalità ed amicizie personali: queste pulsioni ci saranno pur state, ma alla base delle parole di Berlusconi c’è soprattutto vasta conoscenza di uomini e cose, di politiche internazionali e rapporti di forze, della struttura economica mondiale, e di tanto altro. Non nascondo che, per quanto mi riguarda, spaventano più le candide parole della presidente tedesca della Commissione europea Ursula von der Lyen, secondo la quale «dobbiamo fare pressione per fare in modo che le mire imperialistiche della Russia falliscano e che l’Ucraina vinca». Parole da anima bella, per carità, perché non v’è dubbio che il satrapo russo l’abbia fatta non grossa, ma enorme, procurando infiniti lutti, sofferenze inaudite e distruzioni indiscriminate, riducendo un Paese alla miseria ed inermi comunità alla disperazione. Ma c’è un particolare che non può di certo trascurarsi: la Russia si sta mostrando una nazione economicamente assai meno scalfibile di quanto non si fosse con leggerezza immaginato (e questo dovrebbe far riflettere sull’attendibilità dei nostri analisti), con una capacità di resistenza rispetto alla reazione internazionale del tutto imprevista e con un leader tutt’altro che impopolare. Quanti hanno preconizzato il crollo dell’economia di quella Federazione nello spazio di pochi mesi sono stati sonoramente smentiti; e se certo alla ricchezza del Paese non giova d’essere sostenuta da una spesa militare sproporzionata – in luogo di quella destinata a strutture produttive del benessere e capaci di creare circuiti virtuosi di lunga durata, è anche vero che nessuno può prevedere nel lungo periodo cosa potrà mai accadere, tenuto conto dell’instabilità dei quadranti internazionali, della straordinaria capacità di resilienza delle reti commerciali, dell’infinità di risorse interne e della flessibilità delle alleanze internazionali, fondate su disparatissimi interessi. Ma soprattutto, quando con levità si dice che tutti devono unirsi per far sì che l’Ucraina vinca la guerra, o si sta giocando al bleffare, e può pure darsi poiché la politica è ovviamente fatta anche di questo, o per davvero non s’ha più il senso delle cose. A parte l’evidenza delle crepe sul fronte degli aiuti militari – si concedono, sì, ma con notevoli distinguo, tempi rallentati ed assicurazioni tutt’altro che chiare – non so come non si comprenda l’entità del soggetto dall’infinita potenza con il quale s’ha da fare. S’è lungamente affermato che gli arsenali del Presidente russo scarseggiassero di munizioni, che egli fosse costretto a mendicare armi iraniane, coreane e forsanche cinesi. Che insomma annaspasse. Ma stranamente piovono senza tregua quotidiane gragnuole di missili sul dilaniato territorio ucraino, ed ancora dobbiamo vedere all’opera l’aviazione, che peraltro si sta ammassando ai confini di quel disgraziato Paese contermine. Ma soprattutto, quel messere dispone d’un arsenale nucleare da far impallidire chiunque abbia uso di ragione. Oltre ottomila testate sparse sul territorio della Federazione, in località solo in parte note, circa 1.800 belle (si fa per dire) e pronte all’uso. Alcuni aerei, a quel che se ne sa, sono stati già equipaggiati con munizioni di tal sorta, ed il vecchio funzionario del KGB pare si stia preparando a sferrare un attacco con i suoi bombardieri in grande stile. Con queste premesse, si può mai programmare ragionevolmente l’obiettivo della sconfitta della Russia e la vittoria dell’Ucraina? Ripeto, se le parole della presidente della Commissione UE avessero un senso di serietà sarebbero assai più pericolose di quelle improvvidamente diramate dall’attempato Berlusconi. È sin troppo evidente che il fine d’ogni azione dovrebbe essere oggi la ricerca di forme di mediazione per il raggiungimento della pace. C’è da credere che questo stia pur sotto traccia accadendo, ma non mi sembra il modo migliore d’ottenere lo scopo, demonizzare chiunque affacci scenari alternativi: questo ci assimilerebbe, nei modi appunto, esattamente a chi continua a parlare di “operazione militare speciale”.