Le Soprintendenze sono tutte da abolire
La vicenda dell’ascensore-bunker della linea 6 del metrò nella Villa comunale, che ha fatto insorgere l’intero mondo ambientalista cittadino (una protesta sacrosanta che condivido), ripropone in termini di urgenza l’abolizione delle Soprintendenze ai Beni paesaggistici. Quella di Venezia (allora si chiamava Soprintendenza ai Monumenti) è responsabile della bocciatura del “Masieri memorial” di Frank Lloyd Wright sul Canal Grande e dell’Ospedale di Le Cobusier alla Giudecca. Con questa stupefacente motivazione: “Le linee moderne di questi manufatti edilizi mal si inseriscono nel contesto storico e artistico della città e ne costituiscono un grave turbamento”. La conseguenza di questa demenziale decisione di quattro burosauri ministeriali fu che Venezia e l’Italia furono private delle opere di due Maestri del Movimento Moderno. Venne impedito al più grande architetto americano di tutti tempi e al più famoso architetto europeo del 900 di realizzare due opere di sublime bellezza, che avrebbero richiamato nella città lagunare un turismo colto e raffinato. Bruno Zevi li definì “due crimini contro la cultura architettonica mondiale”. Rimasti impuniti. La stessa Soprintendenza veneziana è responsabile dell’osceno cubo bianco, autorizzato qualche anno fa come ampliamento del settecentesco Hotel Santa Chiara, e del discusso ponte hi-tech di Calatrava sul Canal Grande. Due decisioni giustamente biasimate. La Soprintendenza di Bari ha sulla coscienza gli ecomostri di Punta Perrotti, demoliti dopo una lunghissima e contrastata vicenda giudiziaria. La Soprintendenza di Salerno autorizzò negli anni ’70 la costruzione di un megalbergo sulla costiera amalfitana che, a seguito delle proteste di Italia Nostra, del WWF e di Legambiente, fu definito il “mostro di Fuenti” . E fu demolito dopo trent’anni di battaglie. La Soprintendenza di Napoli è responsabile del “mostro di Alimuri”, un grosso edificio sugli scogli di Vico Equense, demolito pochi anni fa. E del “mostro di Pozzano”, un enorme albergo costruito sugli osceni ruderi dell’ex cementificio classificati come “archeologia industriale da tutelare e da recuperare”. Ed è responsabile anche degli ecomostri di Ottieri e del grattacielo della Cattolica, realizzati grazie al suo parere favorevole. E anche dei due escrementi edilizi scaricati sulla facciata del castello Aselmayer di Lamont Young al corso Vittorio Emanuele, delle stazioni del metrò collinare che hanno violentato le più importanti piazze cittadine (Dante, Nicola Amore, Santa Maria degli Angeli, Garibaldi…) e anche dei due “baffi provvisori” alla scogliera della Rotonda Diaz in violazione del vincolo monumentale di via Caracciolo (dopo tre anni, la Soprintendenza non è capace di farli rimuovere). Del resto, se il Bel Paese è diventato una grande pattumiera di edilizia spazzatura dimostra che le Soprintendenze hanno fallito clamorosamente il loro compito. Talchè non posso che ribadire la necessità di abolire tutte le Soprintendenze ai beni architettonici e paesaggistici a dispetto delle vestali dell’ambientalismo italico (Italia Nostra, Fondo per l’Ambiente Italiano, WWF…) che le considerano “baluardi della tutela del nostro patrimonio storico e artistico”. Difensori dalla memoria corta perché queste sovrastrutture di burocrati (non fanno i piani paesistici prescritti dalla legge Bottai del ’39 perché, come denunciò a suo tempo Roberto Pane, preferiscono esercitare un potere discrezionale, senza doverne rendere conto a nessuno) questi “baluardi” non hanno fatto nulla per impedire lo scandaloso degrado della Reggia di Carditello e degli altri siti borbonici. È il caso di chiarire che la Soprintendenze esistono solo in Italia perché negli altri paesi la tutela del patrimonio storico e artistico e delle bellezze naturali è affidata a Commissioni di tutela, costituite da critici e storici dell’architettura e da architetti, pittori e scultori di fama internazionale. E sono queste “commissioni di tutela” che vorremmo vedere al posto delle Soprintendenze ai Beni architettonici, culturali e paesaggistici. Da abolire. Senza se e senza ma.