L’Europa litiga e rinvia mentre contiamo le bare
Ciechi e sordi. Mentre la Prima Guerra Virale Mondiale infuria tra cadaveri e lutti, l’Europa non riesce neanche a presentare uno straccio di certificato di esistenza in vita. Lo spettacolo penoso dell’altro ieri, le sei ore di scontri tra i leader delle 27 Nazioni dell’Ue con l’ennesimo rinvio, non sono solo la rappresentazione plastica del fallimento europeo, ma la conferma che a Bruxelles continua a vigere una sola legge: quella del più forte. Una rissa senza precedenti - mentre si combatte e si muore nelle trincee degli ospedali - che rischia di mandare gambe all’aria la stessa Europa. Germania, Olanda e Austria hanno ottusamente ripetuto la loro contrarietà a strumenti comunitari di finanziamento diretto e ad emissioni di debito comune, escludendo finanche un ricorso al Fondo Salva Stati senza condizionalità. Bene ha fatto il premier Giuseppe Conte a tenere il punto, ma ha sbagliato ad assicurare che in ogni caso l’Italia non punta a una mutualizzazione del debito. Perché la questione - gira e rigira - è esattamente questa. Ne uscirà un compromesso tra un’altra decina di giorni persi, quando pare che verrà coinvolta la Banca europea degli investimenti: potrebbe emettere titoli di debito. Vedremo. Il punto, però, è che uno straccio di solidarietà tra (presunti) alleati non si riesce a trovare neanche in mezzo alle bare di cui il Vecchio Continente si va ormai riempendo. Eppure, laddove la Bce ha imboccato con decisione - sia pure dopo un gravissimo tentennamento iniziale - la strada dell’intervento straordinario e senza limiti, i risultati si vedono. Lo dimostra quanto sta accadendo al nostro spread, letteralmente crollato. Ma nel mezzo di «una tragedia umana di proporzioni potenzialmente bibliche», come Mario Draghi ha definito la pandemia da Coronavirus, non basteranno neanche i 750 miliardi messi in campo dalla Bce. Anche perché questa crisi non nasce nel sistema finanziario, quindi la politica monetaria può dare una mano solo fino ad un certo punto. Poi ci vuole la politica. Siamo in una crisi che resterà nei libri di storia. Occorre il coraggio di scelte radicali che resteranno anch’esse nei medesimi libri. La sospensione del Patto di Stabilità senza una condivisione del debito a livello europeo è una polpetta avvelenata: tutto l’ulteriore indebitamento che saremo costretti a fare poi dovremo ripagarlo noi. Con conseguenze facilmente immaginabili. Per la sopravvivenza del nostro sistema produttivo sono necessari interventi pesantissimi. Assieme alle città e alle attività economiche vanno messe in lockdown le tasse: non rimandarle a tre mesi, ma almeno a un anno. Per l’intero 2020 vanno sospesi i pagamenti di mutui e prestiti. Ai lavoratori autonomi va detto che quello stipendio che non stanno percependo verrà assicurato fino a quando non potranno tornare a fatturare. Ma bisogna farlo subito e con la garanzia dello Stato, a sua volta supportato da una rete di protezione europea. La cassa integrazione ai lavoratori rimasti a casa va pagata senza attendere i tempi biblici dell’Inps, altrimenti il rischio è che tra qualche settimana dovremo schierare i soldati davanti ai supermercati. E se qualcuno di voi si preoccupa dell’iperinflazione che potrebbe sorgere dopo la crisi, in conseguenza del finanziamento di queste maxi operazioni a debito, rispondiamo che ha perfettamente ragione. È accaduto dopo tutte le guerre. Ma - come in tutte le guerre - la priorità ora è salvare la pelle per poterci arrivare a quel dopo. Questo è il momento della fermezza, non del rinvio. Altro che «decideremo entro due settimane», come stabilito dai leader europei. Tra due settimane quanti italiani, quanti spagnoli, tedeschi o francesi saranno morti? Di quanti cadaveri, di quante aziende chiuse e di quanti disoccupati ha bisogno quest’Europa imbelle per intervenire?