Liberarsi dei “liberatori” per una vera pacificazione
Eterna dannazione. Ogni 25 aprile rivive la divisione di un’Italia che, dopo quasi ottant’anni, non ha ancora imboccato la strada della riconciliazione. L’antipasto di quello che accadrà martedì prossimo è andato in onda ieri al Senato, quando la discussione delle mozioni sul tema si è trasformata in una nuova esibizione grondante di retorica antifascista. Seppellendo così per l’ennesima volta la speranza - meglio dire l’illusione - che nel nome dell’Italia possa realizzarsi una pacificazione vera e non simulata dall’opportunità politica del momento. A nulla vale nemmeno l’oblio, la rimozione di ogni passato, che pure caratterizza questo eterno presente senza memoria del tempo che viviamo. Si assiste, infatti, ad uno strano fenomeno: della nostra storia tutto si cancella, tutto si dimentica, tutto si rimuove tranne il fascismo e l’antifascismo. È ormai l’unico passato che non passa. Anzi, per la sinistra neoidentitaria di Elly Schlein l’anacronistica contrapposizione rappresenta un’oasi nel deserto delle idee che furono. Uno dei suoi pochi punti di riferimento. Anche quest’anno il 25 aprile sarà dunque una celebrazione di parte; l’ennesima occasione persa, una festa che perpetrerà i peggiori stereotipi che hanno consentito alla sinistra di trarre profitto dall’uso politico della storia. Ricordiamo qui soltanto alcuni tra i falsi più clamorosi propagandati come verità indiscutibili: 1) I tedeschi non furono sconfitti dai partigiani, ma dagli alleati. La Resistenza vi concorse, ma il suo apporto, ancorché sanguinoso, da un punto di vista bellico fu assolutamente secondario. 2) La parte militarmente più rilevante e attiva della Resistenza era composta dalle formazioni comuniste, i cui membri non avevano alcuna intenzione di restituire l’Italia alla libertà e alla sovranità nazionale, ma puntavano a instaurare una dittatura di tipo sovietico. Fosse dipeso da loro, saremmo diventati un satellite dell’Urss. Un’Albania o una Romania d’Occidente, fate voi. 3) Ne discende che l’affermazione «i partigiani hanno restituito l’Italia alla libertà» è valida soltanto per un minoranza di essi. E siccome l’intera Resistenza nel suo complesso fu già un fenomeno minoritario, l’affermazione di cui sopra è tecnicamente un falso storico. 4) Molti italiani, fascisti e antifascisti, combatterono e morirono senza macchiarsi di alcuna ferocia. Al contrario di quello che racconta la vulgata, le bestie assetate di sangue - come gli atti di eroismo - ci furono da entrambi i lati delle opposte barricate. È la storia maledetta di tutte le guerre civili. Gli sconfitti pagarono di persona la loro lealtà, la loro fedeltà a un’idea, a uno Stato e a una Nazione. Sarebbe il caso che qualcuno s’incaricasse di ricordare anche loro. Non solo i vincitori. 5) Bisognerebbe avere il coraggio di considerare le stragi di civili, i vili agguati e poi le uccisioni a guerra finita per ciò che furono: fatti infami. Ma dirlo equivale a toccare i fili dell’alta tensione della retorica resistenziale: ci si brucia e basta. 6) Invece di esaltare la guerra fratricida che gli italiani combatterono, continuando a discriminare i cadaveri, andrebbe sottolineato e rivendicato il fatto che sia tra gli antifascisti che tra i fascisti vi furono coloro che combatterono nel nome della libertà della Patria per difenderla dall’invasore straniero. Gli uni considerarono occupanti gli angloamericani, gli altri i tedeschi. Furono - questi - tutti patrioti autentici. Si potrebbe continuare, ma ce n’è già abbastanza per impostare un discorso serio su una pacificazione nazionale che resta quanto mai necessaria. Un passo non incompatibile anche col mantenimento di memorie divise, ma basate sul reciproco rispetto. Tuttavia, il proposito di unire gli italiani non è mai rientrato tra gli obiettivi delle celebrazioni in rosso sangue del 25 aprile. E così sarà anche stavolta.