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L’incapacità di trasferire una crisi in un’opportunità

Opinionista: 

Questa storia dirà poco a chi crede che le politiche del lavoro si fanno sui social, a colpi di slogan, promettendo miracoli ma poi limitandosi ai sussidi. È la storia di due stabilimenti, quello di Pomigliano della Fiat rilevava che era gradito solo al 39% degli italiani e per il 53% era figlio dei poteri forti d'Europa. Comunque è riuscito a portare a casa la doppia fiducia parlamentare. Su questo, però, non c'erano dubbi. Specialmente alla Camera dove Pd, M5s e Leu, possono contare su 340 voti, che con l'aggiunta dei 7 del gruppo misto arrivano a 347, ne hanno ottenuti 343 ma ne bastavano solo 316. In teoria, qualche rischio poteva esserci al Senato dove i piddinostellati da soli contano su 156 seggi (al netto di Paragone, 5S, e Richetti, Pd, che hanno preso le distanze) e grazie a autonomisti e misti arrivano a 169 voti, 8 in più dei 161 di maggioranza. Quindi, anche al Senato, a parte tensioni e asti, tutto liscio come l'olio. Se, però, sul proscenio, hanno fatto di tutto per dare la sensazione della compattezza, nella realtà nulla è cambiato e le battaglie hanno continuato ad infiammarsi, a mano a mano che i giorni della fiducia s'avvicinavano e il Governo entrava nella pienezza operativa. Sicché, se la ministra delle infrastrutture e trasporti, la piddina De Micheli, intervistata da “La Stampa”, aveva aperto alla realizzazione delle grandi opere e detto “no” alla revoca delle concessioni autostradali e il suo collega Stefano diceva basta a quota cento; il neo sottosegretario alla presidenza del Consiglio, il 5stelle Fraccaro, assicurava al Corrierone meneghino che “la riforma non si tocca”; e via “Affariitaliani”, invece, il senatore pentastellato Giarruso ricordava alla De Micheli che è al Governo “con una coalizione di tre partiti e rappresenta un gruppo che è meno della metà di quello del Movimento 5stelle e se vuole differenziarsi, può farlo benissimo, uscendo dal Governo”. Alla faccia di Salvini e dei “pieni poteri”. Questo il clima che ha preceduto l'ora e mezza di dichiarazioni programmatiche del premier a Montecitorio. Novanta minuti che si sono conclusi – alla Camera, come al Senato - fra gli applausi della maggioranza e il grido “poltronari” partito dai banchi dell'opposizione, con qualcuno che si è spinto anche oltre invocando le elezioni. La stessa richiesta, cioè, invocata dai partecipanti alla manifestazione di protesta organizzata da Fdi, appoggiata dalla Lega, nella piazza di Montecitorio, proprio nel momento in cui all'interno del palazzo omonimo Conte “annunciava” le sue promesse completamente capovolte rispetto a quelle che aveva garantito un anno e mezzo addietro, chiedendo la fiducia per il Governo gialloverde. In ogni caso una cosa è certa: è confermato che la narrazione del Governo giallorosso sarà identica a quella del suo predecessore gialloverde: “un esecutivo che lavora per l'Italia e la sua crescita, nell'interesse e per il benessere degli italiani e, questo, con l'abbattimento delle tasse (taglio cuneo fiscale e Iva) e la ripresa degli investimenti, e per il Sud: asili nidi, piano straordinario e banca per gli investimenti ”. Le risorse? Intanto, le tasche degli italiani e, poi, a differenza del Conte 1, a quello “bis” l'Ue sta già facendo gli occhi dolci – vedi il pd Gentiloni nominato commissario europeo all'economia, ma sotto la tutela del vicepresidente Dombrovski - assicurandogli la massima collaborazione e flessibilità. Quanto durerà questo feeling? Fino a quando obbediremo! E non poteva essere diversamente, poiché, e anche questo è dimostrato, l'unica vera discontinuità, del “bis”, rispetto al “primo”, è la resa totale all'Europa. Un pronismo confermato dal documento in cui “Giuseppi” ha promesso che il nuovo ministero non farà discolaggini, sarà mite, rinuncerà ai “proclami inutili” e avrà cura delle parole, utilizzando, un linguaggio più consono. Per carità, nessuno pretendeva un Governo che imbracciasse il mitra e dichiarasse guerra all'Europa, ma neanche uno che allunga le palme per farsi bacchettare, ancor prima di aver sbagliato i compiti a casa. A proposito, prima di riconoscere alla stampa di essere un insostituibile termometro di democrazia, Conte ne avrà parlato con i suoi alleati a 5 stelle, e con quel Crimi, che i giornali li ha sulle scatole e vuole togliergli il mercurio, per renderli inutilizzabili?