Lo sciopero generale e il governatore De Luca
Se si volesse stabilire in punto di diritto chi abbia ragione nel conflitto che ha opposto Cgil e Uil al Governo sull’indizione dello sciopero generale si rimarrebbe certamente delusi. La materia dello sciopero non ha mai trovato, né difficilmente troverà, precise formule normative. E per una ragione semplice: non c’è nulla che abbia più fluidità di questa specie di contrapposizione. Si tratta del più antico e del più ineliminabile conflitto, in una società a base capitalistica: quella tra i detentori della ricchezza ed i lavoratori, che mettono a disposizione del capitalista la propria capacità di contribuire alla produzione, non con risorse economiche ma con un altro tipo di capitale, il capitale umano. Sicché, la legge, vecchio strumento di mediazione tra il più forte ed il più debole, affinché la mediazione sia efficace deve talora glissare, mediando anche non regolando, lasciando al caso per caso che qualche autorità e qualche negoziato sciolgano i nodi. Il problema, insomma, non è tanto cosa da legulei, ma da politici, da intelligenza dei rapporti di forze e delle circostanze del momento. È perciò, che con riguardo allo sciopero generale di venerdì – dichiarato tale dai due sindacati che l’hanno indetto, negato come tale dalla Commissione di garanzia e dal Governo – m’ha interessato più il contrasto sviluppatosi tra il presidente della Giunta Regionale Vincenzo De Luca ed il mondo sindacale. De Luca, vecchio sindacalista e sagace politico, ha dichiarato in occasione di una presentazione del suo ultimo libro, che in questo sciopero vede solo una contrapposizione ideologica, non una rivendicazione a carattere sindacale. In sostanza, un’operazione politica, non un’azione a tutela d’interessi specifici dei lavoratori. Il tema vero, infatti, è questo, non certo roba da sofisticherie giuridiche, che nel diritto del lavoro, e nel diritto in generale, servono spesso a mascherare la realtà, coprendola sotto una spessa coltre di parole, alquanto vacue. Ora, le dichiarazioni del Governatore hanno piccato – ma la cosa certamente non è stata imprevista – il mondo del sindacato. Che ha risposto. In Campania, con una lettera aperta del segretario regionale della Cgil, Nicola Ricci. Il quale, nel provarsi a dare giustificazione delle non chiare ragioni dello sciopero generale, proprio nel mentre le offriva finiva, a mio avviso, col dimostrare quanto esse non ci fossero e quanto il sindacato, quei sindacati, avessero assunto una profilatura politica, non di tutela dei lavoratori. Ha sostenuto il segretario regionale del Cgil che lo sciopero ha inteso contrapporsi alle politiche del Governo in quanto: i 100 euro in più in busta paga assicurati dalla legge di stabilità si limiterebbero a malamente compensare falcidie reddituali dovute a speculazioni; la spesa sanitaria non sarebbe adeguatamente incrementata; le risorse riservate a scuola, politiche sociali, disabilità e trasporti sarebbero del tutto inadeguate; la legislazione sul lavoro continuerebbe a mantenere intatto l’impianto della famigerata legge Fornero; nulla di serio sarebbe stato fatto per rafforzare misure di stabilità e migliorare le condizioni di lavoro delle donne; l’equità fiscale sarebbe una chimera, mentre la realtà sarebbe tutta in danno di salari e pensioni, ed in vantaggio di capitali e rendite finanziarie; mancherebbero politiche industriali ed interventi in vantaggio della sicurezza del lavoro; obliterato il Mezzogiorno ed i giovani; salute e sicurezza sarebbero state dimenticate; per non parlare d’investimenti pubblici in infrastrutture, transizione ambientale ed energetica, risorse per la riconversione del sistema industriale, tagli a regioni ed enti locali e via che si dica. È sufficiente questa semplice elencazione, fedelmente ritratta sia pure con un diverso ordine espositivo dalla lettera del segretario regionale della Cgil, per comprendere come il Governatore abbia colto nel segno. Questa congerie di materie ha ben poco da spartire con la mobilitazione sindacale dei lavoratori a tutela di specifici interessi del loro mondo. È piuttosto un nutrito programma politico d’opposizione, che più o meno tocca tutti i principali punti dell’agenda di governo del Paese. È, con un certo tasso di genericità e ripetitività (da me omesse), quanto le opposizioni politiche contestano all’azione di Governo. Non a caso si vocifera che l’assenza dei segretari politici del Pd e del M5S dalla piazza sindacale sia dovuta proprio all’esigenza di non legittimare l’invasione di campo del sindacato a guida Landini, nella preoccupazione che questi voglia assumere dignità politica e candidarsi a leader della sinistra, profittando della debole, attuale guida elitaria di Elly Schlein. In ogni seria democrazia – una democrazia che abbia le sue ben costituite dinamiche e dialettiche – la confusione dei ruoli è segno di deterioramento. I sistemi democratici, infatti, sono meccanismi assai delicati, perché sono chiamati al pluralismo e cioè a permettere a ciascuno d’esprimere le proprie istanze, entro registri di comunicazione e di affermazione relativamente definiti. Maggiore è il pluralismo, maggiore dev’essere l’attenta diversificazione dei compiti e la prevenzione delle sovrapposizioni, che creano confusione, disordine e rischi d’ogni sorta, stressando regole ed istituzioni. Di questa vicenda, il punto è proprio in ciò: la sostituzione nei ruoli, con danno per tutti, a cominciare dal danno per uno strumento utilissimo, in casi di conflitto estremo nel mondo del lavoro, lo sciopero generale. Richiamare l’attenzione su queste pesanti sbavature serve? Chissà, ma certamente è opportuno che qualcuno l’abbia fatto, anche dal mondo della sinistra