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Lotta all’inflazione, cambiare strategia

Opinionista: 

Primo: è stato fatto un errore. Secondo: bisogna rimediare. Terzo: servono soluzioni, non pezze a colori. Quarto: vanno evitate le menate propagandistiche. Il Governo non può perdere la guerra della benzina. Per farlo deve decidere quale strategia seguire per combattere l’inflazione. I prezzi probabilmente nell’immediato sono destinati a scendere un po’, ma il rischio è che in ogni caso restino alti per diverso tempo. L’Esecutivo è quindi chiamato a stabilire una linea di fondo: continuare a intervenire sul lato delle merci, o allocare le risorse per aumentare il reddito disponibile delle famiglie e sostenere i consumi? Finora l’Italia ha perseguito la prima strada, provando a calmierare parzialmente gli aumenti di bollette e carburanti. Ma quella dei bonus e sussidi non è una via percorribile nel lungo periodo; non possiamo permetterci di bruciare miliardi all’infinito, né andare avanti ad inseguire i rialzi delle materie prime su mercati impazziti a causa della maledetta guerra russo-americana combattuta in Ucraina. E che nessuno vuole fermare. La vicenda del mancato rinnovo del taglio delle accise sui carburanti lo dimostra: non appena la coperta si accorcia un po’ sono guai seri. Per tutti. Non solo per i “ricchi”, come qualche esponente della maggioranza ha stupidamente affermato per giustificare a posteriori la scelta di riportare le accise su di 30 centesimi al litro. In una Nazione in cui l’88% delle merci viaggia su gomma, l’aumento di diesel e benzina colpisce in modo indiscriminato: impoverisce ancora di più il ceto medio e mette al tappeto chi prima ce la faceva a stento. Che fare allora? È giunto il momento di cambiare strada e mettere tutte le risorse disponibili sul taglio delle tasse, segnatamente quelle sul lavoro. Occorre una radicale riduzione del cuneo fiscale e contributivo, non il 2% previsto in Manovra. Quello è meno di un pannicello caldo. Bisogna cambiare strada. Certo, è una strategia che costa, ma pasti gratis non ne esistono. Inutile girarci attorno: se Giorgia Meloni vuole dare una sterzata alla sua politica economica deve avere coraggio. Per reperire i soldi da destinare a una riduzione significativa della pressione fiscale sul lavoro bisogna fare due mosse: tagliare gli sprechi di una spesa pubblica mostruosa (oltre mille miliardi) e aumentare il prelievo sugli extraprofitti energetici. Ridurre la differenza tra lo stipendio netto in busta paga e il costo sostenuto dall’azienda è la via più efficace per mettere subito nelle tasche dei lavoratori molto più reddito disponibile di quanto non avvenga con piccoli tagli e micro-sussidi su bollette e affitti. Nel momento in cui la Germania apre per la prima volta all’istituzione di un fondo sovrano comune europeo - il cui solo annuncio ha abbassato il nostro spread - per contrastare il piano americano d’investimenti da 370 miliardi di dollari che crea una situazione di concorrenza sleale Usa per tutto il Vecchio Continente, noi non possiamo permetterci che il rincaro del gasolio si trasferisca anche sul carrello della spesa. Alimentando così l’inflazione che l’Europa sta forse finalmente capendo che va combattuta mettendo in campo strumenti comuni. Come durante la pandemia. Ridurre la tutela del potere d’acquisto delle famiglie, togliendo uno sconto di 900 milioni al mese sulle accise della benzina, è stato un errore dettato dal fatto che oggi è presto per dire che siamo in presenza di un calo strutturale dei prezzi del petrolio. A partire dal 5 febbraio prossimo, infatti, scatterà il divieto di comprare prodotti raffinati dalla Russia e questo rischia di provocare ulteriori aumenti e speculazioni. Insomma, il ciclo delle materie prime al tempo della guerra in Europa è lungo. Scambiare oscillazioni di breve periodo per tendenze di lungo corso è un azzardo. Al quale bisogna rimediare al più presto.