Accessibilità:
-A A +A
Print Friendly, PDF & Email

Luca, quel saluto velato di tristezza

Opinionista: 

L’ ultimo omaggio ha i tratti di una triste festa laica. Un’ora prima dell’inizio sono già centinaia ad attendere, sul marciapiede del Teatro Argentina, tra i cordoni della fila. Registi, attori, gente semplice che ama e frequenta il teatro venuta qui per l’estremo saluto a Luca De Filippo. C’è grande compostezza, c’è malinconica tristezza. La grande sala è avvolta dalle note di Nicola Piovani e Antonio Sinagra. Sullo schermo si alternano le immagini di cento commedie, di mille storie. Il feretro è lì, davanti alla platea. Una maschera di Pulcinella, due rose rosse, un cuscino di fiori bianchi, i compagni di quest’ultimo viaggio.

L’eterno, inesauribile rapporto dei De Filippo con questa maschera. Ricordo, nel mio personale epistolario eduardiano, la lettera di un grande appassionato di teatro che chiede al commediografo  dov’è possibile comprare una maschera classica di Pulcinella. Siamo negli anni Settanta, non c’è ancora grande attenzione verso questo tipo di artigianato. Il drammaturgo risponde che sta portando in scena vecchie maschere, che, stranamente, non gli risulta si producano più a Napoli, che, forse, deve rivolgersi a Padova dove sa che c’è ancora qualcuno che le produce. Ma non conosce l’indirizzo, non sa dargli ulteriori indicazioni e quasi si rammarica per questo involontario diniego.

La maschera nera, oggi, è ancora lì, in quel teatro, ancora lì, su quella bara, e recita da sola e non ha bisogno di un copione.

Sfilano i compagni di una vita: Maurizio Casagrande, Lello Arena, Maurizio Scaparro, Marisa Laurito, Luciano De Crescenzo e poi, ancora, Paolo Sorrentino, Christian De Sica, Vincenzo Salemme.

Napoli, capitale della decadenza, impegnata nella contemplazione, improvvisamente, è tutta qui, in questo teatro che conosce la storia.

È difficile essere figli d’arte. Soprattutto se tuo padre è un genio della drammaturgia come Eduardo. Luca ne ha saputo difendere la memoria con intelligenza e misura, fedele ad un impianto scenico che, per tradizione, resta la custodia di una straordinaria memoria popolare. Mai è rimasto schiacciato dal confronto con un padre così grande. Mai si è appiattito sulla sua immagine.

Lo ha ricordato, in queste ore, con le sue parole, anche Raffaele La Capria, lo scrittore che meglio di ogni altro conosce, oggi, l’armonia perduta del teatro napoletano e la grande lezione di serietà e di coraggio che questa straordinaria famiglia ha saputo lasciare a Napoli e al mondo.

Giuseppe Scalera