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L’umanesimo di Sullo e la “parodia” di Conte

Opinionista: 

Da quando il premier Conte si è accorto che, come“premier” sotto tutela, prescelto da un Movimento senza identità – uno, nessuno, centomila - il suo sogno di passare alla storia sarebbe stato compromesso, sta cercando di correre ai ripari. Puntando a confezionarsi un’identità credibile, grazie al “brand” di radici cattoliche familiari dc, da autentica borghesia centrista del Sud. L’appiglio, lo “scudo doc”, per tentarlo, poteva offrirglielo solo quell’imprevedibile politico futurista di Gianfranco Rotondi - dc per sempre come il turista del “gratta e vinci”- che lo ha invitato a commemorare il centenario della nascita di Fiorentino Sullo, rimpianto e illuminato leader della Dc. Conte naturalmente si è buttato a capofitto ma, nel farlo, ha mostrato i suoi oggettivi limiti. In sintesi, Conte è la palude: l’accomodamento, Sullo è la sfida, il profeta. Ricordo che, verso la metà degli anni Settanta, da giovanissimo redattore di questo giornale, il direttore di allora, Alberto Giovannini, che lo aveva voluto come autorevole opinionista, in controtendenza con la linea del “Roma”, così ne spiegò la scelta. “Sullo è come quei grandi, celebri navigatori che intuivano le bizze dei venti, le rotte giuste anche nei mari più tempestosi, e pur se ostacolati dagli ammutinamenti della ciurma, si confermavano anticipatori del futuro e di nuove eretiche sfide”. Era un’aquila, non un gabbiano in cerca di carcasse. Intuì la necessità di una riforma urbanistica capace che di frenare le speculazioni; varò, nel 1962, la legge “167” in favore della edilizia economica e popolare. Colpa dei Comuni se poi fu boicottata o usata per inconfessabili clientele. Era ancora profeta, quando affermava che le Regioni non potevano guidare né decentramento né innovazione con un personale reclutato per interessi di parte, testualmente disse - lo ricordo senza intenti offensivi - “ con i distacchi delle guardie campestri”. Fu un’aquila quando, nel turbolento ’68, aprì la Scuola al nuovo e la Dc di Moro lo sbolognò poi, anche per aver auspicato la riforma del bicameralismo, sostenendo il contrario dei testi universitari che parlavano di un ruolo finzione del Capo dello Stato, mentre questi, invece, aveva poteri immensi da far balenare un “presidente-presidenziale”. Fino a chiedersi con sottile ironia, perché mai un “Presidente del Consiglio” responsabile, dovesse dipendere da un “presidente irresponsabile”, stando alle prerogative del Colle. Sullo, un ciclone di idee, fu tra i primi a chiedere di rendere più democratica l’azione del pm “da tutelare e da non fargli subire vincoli da parte della politica, ma anche per correggerne quel ruolo da predicatore delle vanità invernali, nel logoro ritualismo degli anni giudiziari regionali ”. Per concludere, con il tema, sempre più attuale e polemico, dell’ ingordo “napolicentrismo”, da lui denunciato sin dal 1969, prima dell’avvento delle Regioni, che gli farà dire, al cospetto di manifeste incapacità partenopee, in un memorabile meeting svoltosi a Sorrento: «Napoli? Come può ambire ad essere capitale del Mediterraneo se non è capace neppure di legittimarsi come capoluogo della Campania?». Questo era il vero “umanesimo cattolico” di Sullo. Una parodia invece, quello che Conte oggi cerca di scimmiottare pur di galleggiare, ubbidendo a una “piatta- forma” digitale.