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Medicina: modifiche al test d’ingresso e il medico migliore

Opinionista: 

Dove non era riuscita la ministra della Salute di 3 anni fa, Giulia Grillo, che auspicava, peraltro con scarso seguito tra la classe politica italiana di allora, l’abolizione del numero chiuso a Medicina, è riuscita la pandemia di Covid-19 che, di fronte a un problema sempre più pressante di carenza di personale sanitario, ammesso che esista, ha indotto l'attuale ministro della Salute Roberto Speranza, e la ministra dell'Università, Maria Cristina Messa, a compiere (almeno in parte) il fatal passo. "Dall'anno prossimo non ci sarà più il test d'ingresso unico per la facoltà di Medicina." - ha dichiarato la ministra qualche giorno fa a Radio Capital - "Ci sarà un percorso che può iniziare anche al quarto anno di liceo, dove gli studenti potranno cimentarsi con il test fino a quattro volte ed entrare in graduatoria con il risultato migliore." Dando per scontato che un cambiamento così epocale e repentino sia figlio della pressante carenza di medici, la titolare dell'Università ha aggiunto, "Scontiamo ciò che è stato programmato anni fa. Noi con il ministro Speranza abbiamo aumentato tutti i numeri, sia degli studenti che possono accedere alle scuole di specializzazione che di quelli che possono entrare all'università di Medicina. Ma le conseguenze di queste riforme non si avranno nell'immediato. Dobbiamo anche rendere più attrattivo il lavoro del medico generale che lavora nei territori locali perché sono sempre meno i giovani che vogliono fare questo lavoro”. E a sostenere ulteriormente quanto affermato solo poche ore prima, in un'altra intervista a RAI News, ha dichiarato: "Abbiamo aumentato il numero di borse di studio per le scuole di specializzazione medica, sono state oltre 17 mila lo scorso anno, e abbiamo aumentato il numero di studenti che accedono a Medicina: si era partiti da 9mila di qualche anno fa, numero che ha prodotto questa mancanza di medici, per arrivare ai 15mila e oltre. Questo permette di dare la giusta formazione ma c'è un immediato che va chiaramente gestito, le misure introdotte si vedranno tra qualche tempo. Con un decreto abbiamo previsto inoltre che gli specializzandi degli ultimi anni potranno lavorare in ospedali, resta il territorio il vero problema". Ricordo a me stesso le dichiarazioni nel febbraio 2019 di Carlo Palermo, segretario nazionale di Anaao-Assomed, forte e potente sindacato dei medici ospedalieri, che rispondendo a Giulia Grillo e al suo desiderio di abolire il numero chiuso dichiarò al Quotidiano Sanità quanto segue: "Il ministro dimentica che in questi anni c’è stato un blocco delle assunzioni e il problema non è il numero chiuso a medicina perché già oggi abbiamo ben 10mila medici che vogliono entrare in specializzazione e vivono in un limbo formativo. Non solo, dal 2019 al 2023 arriveranno alla laurea circa 52mila medici ai quali si sommeranno i 10mila. A conti fatti avremo circa 62mila medici. Per cui non mancano i medici da assumere. Mancano le borse di specializzazione, sono attualmente 7mila e ce ne vorrebbero almeno 10mila; mancano i posti per il corso di formazione in medicina generale. Su questo dobbiamo andare a incidere, non sul numero chiuso in medicina. Questa è solo una proposta demagogica che non risolve il problema anche perché le facoltà universitarie di medicina non sarebbero neanche in grado di accogliere un ingresso così massiccio di nuovi iscritti”. Dunque, se il forte aumento del numero di specializzandi, peraltro ampiamente auspicato da Palermo, può legittimamente essere accolto con soddisfazione - anche se questo dovrà prevedere necessariamente una riforma profonda dell'università e dei suoi percorsi formativi post-laurea - restano grandi dubbi su come si gestirà un prevedibile massiccio accesso di studenti alle facoltà mediche senza aver prima immaginato il loro incanalamento in percorsi didattici e formativi virtuosi. Non basterà far laureare molti medici, ma sarà certamente utile, se non necessario, portare, negli ospedali, nelle cliniche, nelle ASL e negli studi, buoni medici, anche con sbocchi professionali mirati alle necessità della società civile. Occorreranno pediatri, oculisti, neurologi, cardiologi, pneumologi, immunologi, virologi, ortopedici, reumatologi, internisti, e chi più ne ha più ne metta. Ma più di tutti, occorreranno medici generali, anestesisti e medici di emergenza/urgenza, ben sapendo che il bisogno ad oggi tanto pressante quanto insoddisfatto di questi ultimi perdurerà prevedibilmente almeno finchè la medicina del territorio non sarà riorganizzata in modo adeguato. Non potranno essere consentiti comportamenti lavorativi illegittimi, nessuno potrà lavorare più del dovuto, i sacrosanti turni di riposo dovranno alternarsi a carichi di lavoro proporzionati a una domanda "governata" da modelli validati di accesso ai servizi sanitari, finalmente integrati da una tecnologia al passo coi tempi, la risposta all'inevitabile burnout (che colpisce in questa epoca pandemica fino all'80% dei medici in servizio) dovrà passare da individuale a organizzativa (insita di fatto nel sistema) e le retribuzioni dovranno essere in linea con le medie europee. Non potrà essere più rimandata la riforma del 118, sia in termini formativi che di sicurezza del suo personale, senza dimenticare, come per tutti i servizi di emergenza/urgenza, le necessarie e gratificanti indennità economiche. Andranno finalmente privilegiate sempre le competenze e le professionalità sulle carriere costruite a tavolino tra giochi di potere e nepotismo. Dovranno essere nuovamente aumentati (e finanziati) i posti letto (quelli veri, non le barelle dei Pronto Soccorso), portando anch'essi alle medie europee. Ma anche qui non potrà essere solo una questione di numeri. Il paziente dovrà tornare a essere al centro del fare medico, spogliando sia lui che il sanitario che lo prende in carico di quel fardello burocratico che spinge tutti noi a diagnosticare e curare più secondo algoritmi prefabbricati che osservando, ascoltando, visitando e accompagnando l'umanità di chi soffre. Dalla "observatio et ratio" di Ippocrate, passando per il "bed learning" di William Osler, per finire al rinomato "intuito clinico" di Antonio Cardarelli, tutto si è sempre mosso attorno all'unico e solo protagonista della storia sanitaria dell'umanità, il malato, quello che paga il conto con le sue tasse e con la sua sofferenza, spesso malinconicamente insoddisfatta. Temo che a nulla servirà aumentare il numero dei medici, specialisti e non, se non a creare, com'è già accaduto, una nuova pletora di disoccupati. Occorrerà una riforma strutturale del sistema formativo (compreso quello propedeutico della scuola) e di quello lavorativo in sanità. Tutti meritiamo una classe medica migliore per conoscenza, esperienza, efficienza e, non ultima, sensibilità, ma per farlo necessitiamo di formatori migliori, che a questo paese da sempre non mancano, salvo farli avvilire (e scappare via) per inesistenti prospettive di carriera, mancanza di gratificazione professionale ed economica ed enormi (quanto inutili) carichi burocratici di lavoro. Questa rivoluzione copernicana non può più essere rimandata né si otterrà per decreto, ma ripensando a una società più rispettosa di tutti, più efficiente per tutti, più solidale con tutti. Non sono solo le università che fanno i medici, ma anche tutti noi, le nostre aspirazioni, i nostri bisogni e i nostri esempi.