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Meglio un tecnico affamato che uno di “grande” fama

Opinionista: 

Dico subito “Forza Sarri”, come fosse “Forza Italia”. Perché è buona novella che il primo ad accasarsi con certezza al posto di velleitari maghi esotici sia un italiano. Non un Mago, semplicemente un maestro di calcio con un ricco curriculum nostrano, diciassette squadre - dalla Stia di Arezzo all’Empoli - quindici anni di gavetta e bacchetta prima di approdare a una grande della massima serie, il Napoli. Ci pensavo a botta calda, sabato sera, osservando un altro gran lavoratore approdato alla finale di Champions, Massimo Allegri, dopo aver sostituito alla guida della Gran Signora un compagno d’avventura di tante panchine, Antonio Conte, alle prese con la Nazionale che dovrà vedersela con la Croazia. Tutti e tre scuola toscana, come ai bei tempi di Artemio Franchi quando il Gran Ducato partoriva tecnici eccellenti. So che non tutti, a Napoli, e anche altrove, apprezzano l’ardita scelta di De Laurentiis, da tempo vagante fra nomi illustri nostrani come Montella e Spalletti (scuola toscana anche loro) e il mitico Emery del Siviglia: ci si aspettava un tecnico di fama, magari come Benitez, ma personalmente preferisco quelli di fame: fame di crescere e vincere, di imparare e insegnare. Soprattutto di lavorare. Quando di recente ho parlato con il presidente di Sarri, Corsi, mi ha fatto notare soprattutto una cosa: «È un gran lavoratore». E ho ricordato il titolo che dedicai a Fabio Capello quando vinse lo scudetto con la Roma: “Fabio Capello Cavaliere del Lavoro”. Così usa, da noi, controllando prima il lavoro fatto, poi quello promesso e realizzato, nonostante un certo avventurismo esotico che chiamai “guardiolismo” precisando - con grande rispetto per Guardiola - che si trattava di un fenomeno singolo non di una moda produttiva, ancorché accattivante. Se poi qualcuno avrà da ridire sul tempo in cui il maestro Sarri ha trascorso in banca, mi fa piacere precisare, forse è solo un paradosso, che coi tempi che corrono è importante saper far di conto, aver contezza della salute di un bilancio, poter affrontare il capitolo “spesa” e quello “ricavi” con razionalità, senza la pretesa di imporre a un club un vanaglorioso Business Plan dopo essersi portato a casa un bel gruzzolo (sette milioni, quattordici miliardi di vecchie lire) e aver chiuso due stagioni fallimentari con un commento lapidario alla Cambronne (appena ricordato nell’anniversario di Waterloo): «Questo è un campionato di m...». Benitez dixit. Sarri non è un inventore rivoluzionario - per esemplificare: non è Sacchi - e tuttavia con il modesto Empoli ha fatto egregie cose (anche a spese del Napoli!) meritandosi l’attenzione di molti e - dicono - il “no” di Berlusconi soprattutto per quella tuta che indossa e «non fa fino». Sono sicuro che a Napoli cambierà mise (e già che c’è mi auguro che faccia togliere agli azzurri quella inguardabile camiseta di jeans) anche se ricordo con piacere le esibizioni di Walter Mazzarri (l’ultimo che a Napoli ha dato emozioni, vittorie e la Champions) con la camicia bianca che all’improvviso sortiva da sotto la giacca corretta e sventolava al San Paolo come una bandiera. A molti - anche a me dapprincipio - Sarri ha fatto venire in mente l’infelice esperienza di un altro toscano, Corrado Orrico, che arrivò all'Inter nel ’92, avendo iniziato la carriera a Sarzana più o meno quando nasceva Sarri (1959) e subito fu battezzato l’anti-Sacchi, l’esorcista nerazzurro contro il diavolaccio rossonero, per via di quella gabbia che fu molto imitata e di un gioco audace che fu presto annunciato come innovativo e prestissimo abbandonato, insieme al buon Corrado, rimasto famoso soprattutto per il Gran Rifiuto (rinuncia a 400 milioni d'ingaggio, roba da Celestino Quinto): ebbene, Sarri non ha la superbia di passare per rivoluzionario, ha vinto una panchina d’argento e un premio intitolato alla memoria dl grande Scopigno, è in realtà un interprete aggiornato del calcio all’italiana, dove s’intende che si è brillantemente salvato soprattutto perché il suo Empoli ha mostrato un sano equilibrio fra gol fatti e gol subiti, naturalmente in relazione alla sua potenza e qualità. Il Gioco delle Panchine non è ancora finito. Certo Mihajlovic - sostituito da Zenga alla Sampdoria - a guidare il nuovo Milan (sarà piaciuto a Mister Bee...), perduto in vacanze esotiche (?) Montella, discusso (ma forse è puro gioco) Garcia alla Roma: c’è ancora molto da raccontare, e molto da lavorare, per impedire che il prossimo campionato si giochi ancora a 19 squadre. Con la Juve pronta a fare il pokerissimo riuscito soltanto a Carcano...