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Mettersi tutti alla stanga per evitare una stangata

Opinionista: 

Basta con la cultura della resa. Basta con le parole vuote e inutili. Basta con gli annunci che non producono uno straccio di conseguenza concreta. Basta col dare la colpa sempre a qualcun altro. Basta. Sul Pnrr ci giochiamo l’osso del collo. Fallire l’appuntamento con gli investimenti finanziati dai soldi di tutti gli europei, che per la prima volta nella loro storia hanno deciso di fare debito comune, sarebbe devastante. Questo dichiarare ogni giorno, dando per scontati i ritardi e l’impossibilità di realizzare le opere nei tempi previsti, è da incoscienti. La gravità di ciò che rischia di accadere è ben dimostrata dal fatto che si sono capovolte le parti in commedia: da settimane esponenti di maggioranza e opposizione mettono in dubbio la possibilità di spendere i soldi e arrivare fino in fondo; l’Ue incoraggia invece l’Italia a non mollare, predisponendosi a trattare per la rimodulazione del Piano, a spostare risorse da un progetto all’altro, a far transitare una parte delle opere verso i fondi di coesione in modo da avere più tempo per realizzarle, a rinviare il processo di verifica di un mese pur di erogare i 19 miliardi della terza rata del finanziamento. Tutto (o quasi) pur di evitare un fallimento che sarebbe disastroso innanzitutto per noi, ma che finirebbe per coinvolgere l’intera Europa. Per questo il presidente Mattarella nei giorni scorsi ha suonato l’allarme, invitando tutti a mettersi alla stanga, come ebbe a dire De Gasperi spronando la ricostruzione del dopoguerra. Eppure si sente ancora parlare di ritardi considerati non solo ineluttabili, ma quel che è peggio immodificabili, neanche si trattasse di un’eterna maledizione della quale è impossibile liberarsi. Quest’aria di rassegnazione emana un insopportabile tanfo d’immobilismo rispetto al quale è giusto porsi una domanda: i politici che ci stanno a fare? Soltanto giovedì è sembrato muoversi qualcosa, con la convocazione di tutte le categorie economiche a Palazzo Chigi. Ma siamo ancora ai preliminari. Il Governo ha scritto quasi due mesi fa un decreto per cambiare la governance del Piano, accentrando giustamente i poteri: perché non è stato ancora attuato? Non si era scelta la strada del decreto proprio perché era urgente intervenire? Che bisogno c’era di attendere la scontata conversione in legge? Abbiamo perso due mesi per fare cosa? È questa cultura del rinvio e della resa alla malaburocrazia che schiaccia la Nazione da decenni. C’è stato finanche chi ha “rimproverato” all’Europa di averci dato «troppi soldi» rispetto alle nostre capacità di spesa. Roba da non credere. Invece di attivarci subito per rimuovere ostacoli e impedimenti, ce la prendiamo con chi ha stanziato i denari da destinare ai nostri investimenti. Siamo matti? Piuttosto la politica s’imponga con atti concreti per sbloccare gli ingranaggi fermi, liberi le arterie ostruite del sistema nervoso pubblico e faccia arrivare al Sud progetti e finanziamenti. Con i fatti, non con le chiacchiere. Che di quelle ne abbiamo le scatole piene. Quindi testa bassa e pedalare. Si negozi quel che serve; si modifichi quel che si deve; si selezionino le opere a più alto impatto e redditività; si faccia partire per davvero la nuova governance; si commissari senza pietà tutto quello che è in ritardo o non funziona e si applichi subito il nuovo Codice degli appalti. Si concentrino tutte le energie su questo e si lasci perdere il resto. Soprattutto si facciano le riforme subito, a iniziare dalla giustizia (ma che fine ha fatto?), perché anche un bambino capisce che gli investimenti funzionano se non devi aspettare dieci anni per l’esito di un ricorso. Lo sanno tutti che i piccoli passi avanti fatti con la riformetta Cartabia non bastano. Il Governo ha finora molto chiacchierato su questo tema, ma ancora non esiste una riga scritta, uno straccio di testo legislativo sul quale ragionare e, soprattutto, lavorare. Mettetevi alla stanga o arriverà una stangata.