Mezzogiorno, Fondi Ue e Macroregione del Sud
Ègià campagna elettorale. Il Governatore De Luca, prima avvia un concorso regionale per 2.243 (ma diventeranno 10mila) posti negli Enti locali, alla cui prova preselettiva - della quale, però, non è ancora noto l'esito - hanno partecipato in oltre 300mila; poi, dopo anni di litigi, fa pace e pensa d'allearsi con l'ex premier Renzi. Ovviamente, per il bene della Campania. Poi, giovedì scorso, a Napoli, De Vincenti, ex ministro alla Coesione Territoriale del governo Gentiloni, ha presentato il manifesto “Cambia -Cresce - Merita” per il nuovo Meridione, sottoscritto da 180 fra politici, imprenditori, baroni universitari, esponenti dell'associazionismo e della società civile, fra cui, Marcegaglia, Cipolletta, Barracco, Borgomeo, Zigon, Calise, Cascetta, Patroni Griffi, Finocchiaro, Giannola, Manfredi, Profumo ed altri. Personaggi, che da tempo occupano poltrone importanti e avrebbero potuto già dare tantissimo allo sviluppo di questa terra. Ma a parte oceani di chiacchiere finora non sono riusciti a offrici altro. Sarà la volta buona? Beh, “la speranza è l'ultima a morire”, ma sulla scorta dei precedenti si fa fatica crederci. Di Meridione ha parlato anche il Dg per la politica regionale della Ue, Lemaitre, che, con una sorta di moral suasion, ha sollecitato il governo a intensificare gli investimenti nel territorio, poiché “gli sforzi europei fatti attraverso il bilancio comunitario sono stati neutralizzati dai tagli agli investimenti pubblici nel Mezzogiorno”. È notorio, infatti, che uno dei più grossi nodi nella spesa delle risorse strutturali è quello del contributo del Paese intessato. E che questo in Italia - per la lentezza della burocrazia e i bizantinismi procedurali - spesso, è come l'araba fenice che “ci sia ognun lo dice, dove sia nessun lo sa”. Di più, se è vero che in mancanza le risorse comunitarie, pur disponibili, non si muovono da Bruxelles; è, anche vero che messo in atto, rischia di far sforare il “patto di stabilità”, provocando conseguenze negative di non poco conto per i Paesi che “sbagliano” . Insomma, come le risorse, a suo tempo, destinate alle leggi speciali per il Mezzogiorno, anche quelle europee hanno finito per essere sostitutive, e non aggiuntive, della spesa ordinaria dello Stato. Da qui: a) polverizzazione della spesa in microprogetti, bassissima qualità della spesa, scarsità di controlli e utilizzazione di tali risorse a scopi clientelari; b) eccessivo ricorso - per dribblare il “disimpegno automatico” - ai “Progetti sponda” un trucco contabile di finanza creativa che consente di rifinanziare, purché coerente con le indicazione Ue, ciò che è stato, realizzato, in precedenza con fondi regionali, comunali e mutui bancari. Il che si è trascinato per decenni. Tant'è che la storia economica dell'area ci racconta - cifre alle mano - che nonostante una legge del '50 imponesse ad Aziende partecipate, Ministeri e amministrazioni di destinare al Sud il 40% dei propri investimenti ordinari annui, in realtà non vi hanno mai investito più dello 0,5%. A conti fatti, quando il dg Lemaitre afferma che - a dispetto dell'accordo di partenariato fra Italia e Bruxelles che prevedeva per il triennio 2014/2016 d'investirvi lo 0,47% del Pil - anche in tale periodo gli investimenti al Sud non hanno superato lo 0,40% (sembra poco, ma si tratta del 20% di risorse pubbliche in meno investite nel territorio) per di più, in termini sostitutivi, e non aggiuntivi, dell'ordinarietà - non dice alcunchè di nuovo, anzi. E dire che una recente normativa impone di destinare al Sud il 34% degli investimenti ordinari. Questo avrebbe dovuto suscitare nel governo un minimo di autocritica sui risultati negativi del suo totale disinteresse per il Mezzogiorno. E alle regioni del Nord, una riflessione sul fatto che fino quando il Sud resterà relegato in queste condizioni, neanche loro cresceranno più di tanto. Invece, solo qualche “spero, promitto e iuro”, che si sa “reggono l'infinito futuro”. E nello specifico, questo infinito futuro significa: semplificazione dell'iter attuativo, cancellare i bizantismi procedurali ed escludere dal patto di stabilità, il cofinanziamento dei fondi strutturali. Una lingua, questa, che l'Italia non parla e l'Europa non capisce. E se provassimo con il traduttore simultaneo: la macroregione autonoma dell'Italia del Sud? Sarebbe più facile farci capire.