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Moderati o oltranzisti: il centrodestra scelga

Opinionista: 

Incoraggiato dalla vittoria di Ronald Trump nelle “presidenziali” americane, Matteo Salvini ha rotto gli indugi e posto apertamente la propria candidatura alla leadership non soltanto della coalizione di centrodestra, ma dell’intero paese. A confortarlo, in questa sua aspirazione è, come sempre, Giorgia Meloni, sua fedele scudiera. Talmente spropositata è apparsa la pretesa del leader leghista, da indurre persino il mite Stefano Parisi, al quale Silvio Berlusconi affidò il compito di tentare la riunificazione dell’area moderata, ad una reazione stizzita e a dichiarare, fuori dai denti: «Noi non siamo quella roba lì». Tutto induceva a pensare, dunque, che nel centrodestra fossimo ormai “ai materassi”, secondo l’espressione coniata da Mario Puzo nel “Padrino” per indicare il momento di rottura e di scontro tra due opposti schieramenti. E, a dar forza a questa ipotesi era ciò che era accaduto a Padova, dove il sindaco del Carroccio Massimo Bitonci veniva sfiduciato in virtù del voto determinante di due esponenti di Forza Italia. Non era, quello di Padova, la città del Nord più importante tra quelle amministrate dalla Lega, un episodio di poco conto anche perché l’esperienza insegna che anche le coalizioni all’apparenza più solide, hanno cominciato a sfaldarsi a livello locale. Gli osservatori avevano, quindi, tutto il diritto di chiedersi se fosse giunta la fine della lunga alleanza tra Forza Italia e i “lumbard” che l’accoppiata Berlusconi-Bossi portò al successo più di vent’anni fa. Ma la storia delle docce scozzesi alle quali ci ha abituato da tempo, ormai, il controverso rapporto tra i due partiti non è finita. Con un autentico révirement, infatti, Berlusconi che sembrava avesse avvalorato la presa di posizione di Parisi, lo ha clamorosamente smentito ribadendo la validità dell’alleanza con Salvini. Tutto come prima, dunque? Pace fatta tra Berlusconi e il capo della Lega? Può darsi che Berlusconi abbia paura di rompere e creda, in virtù del suo carisma, di poter continuare a tenere insieme le due anime del centrodestra. Ma il suo carisma non è più quello di una volta e prima o poi dovrà prenderne atto. Siamo convinti, infatti, che l’ipotesi di una rottura sia destinata ad assumere dimensioni concrete e, in previsione di uno scisma che finirà con il rivelarsi inevitabile, non sarà inopportuno porsi almeno due domande: questo scisma tra l’anima moderata e quella oltranzista è un fatto positivo o negativo? E quali prospettive può aprire, nei mesi a venire, per la politica italiana? Alla prima domanda riteniamo - in tutta franchezza - di dover dare una risposta positiva ricordando ancora una volta che John Kennedy era solito ripetere che “non si può fare una frittata senza rompere le uova”, In altri termini, se il centrodestra vuole riacquistare un’identità e un ruolo nella vita politica del nostro paese, deve avere il coraggio di scegliere di uscire dall’equivoco provocato dal voler ad ogni costo mettere insieme il diavolo e l’acqua santa, di far, cioè, convivere in un’ibrida ammucchiata gli uomini e le idee di Parisi con gli uomini e le idee di Salvini. Se guardiamo alla storia del centrodestra e analizziamo le sue potenzialità, non abbiamo dubbi: il suo futuro è in un’area moderata, di ispirazione liberale, interprete di quella “maggioranza silenziosa” che da molto tempo non fa più sentire la propria voce. Ma - ed eccoci alla seconda domanda - quale dovrebbe essere la politica più idonea, allo stato delle cose, per un centro-destra capace di riassorbire la diaspora delle molte formazioni moderate, da quella di Angelino Alfano a quella di Pier Ferdinando Casini, che da molto tempo hanno infranto la loro unità? Affrontare in una sfida da Mezzogiorno di fuoco la duplice concorrenza del Pd e dei Cinquestelle, avrebbe per i moderati conseguenze letali. Verrebbero fatti a pezzi. E, allora, non c’è che una strada: trovare un accordo con l’ala riformista del Pd e realizzare quella alleanza che, oltre tutto, potrebbe servire ad assicurare al paese una governabilità che certo non può esser garantita dalla coalizione dei “no”. Il sì al referendum poteva costituire il terreno idoneo per un’intesa. Fedele Confalonieri, che non è un politico di professione, ma è un uomo indubbiamente intelligente, lo aveva capito, ma Berlusconi, ancora una volta, non ha avuto il coraggio di rompere con Salvini o, forse, ha ritenuto che con un Renzi indebolito avrà maggiore facilità di trattare. Dopo il referendum, comunque, qualunque ne sia l’esito, lo scenario è destinato a cambiare e la riforma della legge elettorale può essere l’occasione propizia anche perché, per forza di cose, Forza Italia e Pd dovranno essere uniti nella ricerca di una formula che serva ad evitare che, dopo il voto, a governare l’Italia siano i Cinquestelle. Certo, per un’operazione di questo tipo il centro-destra avrà bisogno di un leader che prenda il posto di un Berlusconi ormai logoro e “prigioniero” di Salvini. Può essere Parisi l’uomo adatto a questo compito o l’uomo è troppo mite per una sinile impresa? L’asprezza con la quale ha reagito all’autocandidatura di Salvini fa pensare che potrebbe farcela. “Dio ci guardi – diceva Andreotti – dall’ira dei calmi”.