Napoli scudetto, ma c’è chi ha già sognato con Ferlaino
Napoli si sta preparando. Senza neanche più aggrapparsi agli scongiuri e alle frasi scaramantiche. Napoli si prepara a vincere il campionato e a beatificare De Laurentiis e Osimhen, a fare i conti in tasca all'impresario torrese che probabilmente non ha mai visto i soldi che sta vedendo adesso e che vedrà nei prossimi mesi. Soprattutto se venderà l'uomo mascherato e incasserà un po' meno di 200 milioni. Che sono 400 miliardi di una volta: ma Napoli ne parla con tranquillità, anche se nessuno sa quanti zero occorrono per scrivere il numero 400. Perché Napoli è la terra delle contraddizioni vissute con l'aristocratico distacco dei pezzenti. Perché Napoli è così. I napoletani sono così. Noi siamo così. Da sempre. Viviamo di pallone e di miliardi che non vedremo mai. E se qualcuno pensa a Maradona, a quanto costò, a quell'entusiasmo, c'è qualcuno che va ancora più indietro col tempo e sospira pensando a mister miliardo, a Savoldi Beppe-gol, all'astuzia dell'artefice magico Corrado Ferlaino e alla sua capacità di riuscire laddove altri fallivano, con Maradona e con Savoldi, che arrivò a Napoli nel luglio '75 mentre infuriava uno sciopero della nettezza urbana e il Corriere della Sera, il giorno 11 luglio di quel 1975, diede la notizia dell'arrivo di Savoldi a Napoli non pubblicando una sua foto, ma un'immagine della spazzatura che arrivava ai secondi piani dei palazzi. Ma Napoli è così, noi siamo fatti così e la reazione aristocratica dei lazzari felici fu di giocare il terno 2 (i miliardi)26 'o pallone, 70 'a munnezza. Perchè siamo così, e il pallone viene prima di tutto, al massimo dopo mammà. Si nasce tutti così, al Vomero come al Pallonetto. Tutti così, pane e pallone. A metà della celebrazione liturgica domenicale delle 9, la chiesa dei Salesiani in via Morghen al Vomero era già diventata uno spogliatoio e tra le panche si formavano le squadre, tra un amen e l'altro. E "la messa è finita, andate in pace" era il segnale convenuto: in modalità gruppo selvaggio uscivamo da un ingresso laterale della sagrestia e conquistavamo il campo in cemento armato. Eravamo in trecento, giovani e forti, forse quattrocento, divisi in una cinquantina di squadre, ma ciascuno di noi sapeva esattamente chi erano i compagni e chi invece gli avversari, mentre tutti gli altri, e tutte le magliette di mille colori che rallegravano le nostre domeniche anche a novembre, erano lo scenario della nostra domenica ai Salesiani. E si giocava fino alle due del pomeriggio fino al "chi segna vince", sudati, sporchi e con le scarpe rotte e a casa "avevamo il resto" prima del ragu, da mammà che veniva prima del pallone e del ragu. E ne ho visti di ragazzi che giocavano da padreterno (d'altra parte se non giochi da padreterno dietro il muro di una chiesa, dove potresti?), finivano a terra sul cemento e si rialzavano senza fingere di essere moribondi e dribblavano tutto il dribblabile, preti compresi. E c'erano poi anche il campo Kennedy ai Camaldoli, oppure il Macello, o l'Italsider, posti tristi senza le docce, dove si pagava per un'illusione. Ne ho visti tanti bravi, ma bravi davvero, che poi hanno cominciato a fare i garzoni da qualche parte, i più fortunati gli operai, e hanno messo da parte il sogno del pallone. Ed erano bravi, potevano fare carriera, forse diventare ricchi. Ma c'era da portare la pagnotta a casa (a mammà, eccola qui, implacabile). E non si usavano tatuaggi in petto e sui muscoli, l'orecchino non esisteva, i capelli non erano ancora gialli/platinati/rossi, che oggi rappresentano il parametro fondamentale per valutare quelli che a sedici anni hanno già il procuratore vampiro e guadagnano pacchi di milioni dopo aver giocato un paio di partite in serie C. E il campetto in cemento della nostra giovinezza naturalmente non c'è più, venduto dai preti a una catena di supermercati, la Carrefour mi pare. E quando mi succede di andarci, visualizzo ancora quelle domeniche: ecco, proprio dove ora ci sono i borlotti forse ho fatto un colpo di tacco, e chi se lo dimentica quel tiro al volo proprio all'incrocio dei pali, dove adesso stanno le banane in offerta. Quel formidabile tiro al volo che non ho mai più ripetuto è rimasto lì, cristallizzato tra le mille magliette colorate, tra i preti, tra le pieghe della nostra giovinezza.