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Nel Governo nervi tesi per ragioni indecifrabili

Opinionista: 

Francamente non si capisce. Non c’è un solo motivo che giustifichi l’eccessivo nervosismo che serpeggia nella maggioranza. Certo, il Governo - tutto il Governo - ha commesso l’errore di togliere troppo presto lo sconto sulle accise dei carburanti. Ma al netto di questo e del disastro comunicativo che ne è seguito (costato il primo sciopero contro l’Esecutivo), non si comprende per quali ragioni - dalla giustizia alle riforme - crescano le tensioni e i distinguo tra gli alleati. O meglio, si capisce benissimo: come abbiamo ripetuto fino alla noia, infatti, da tempo il centrodestra non è più una coalizione ma un semplice cartello elettorale. Con tutto ciò che ne consegue. Tuttavia, nonostante le difficoltà politiche interne, Giorgia Meloni ha davanti a sé una prateria: i mercati, al netto delle intemerate della Bce, per ora non sembrano una minaccia; lo spread si è appiattito come non si vedeva da diversi mesi; l’opposizione semplicemente non esiste e l’unica azione di contrasto che riesce a fare è quella a se stessa; come previsto e nonostante i falchi del Nord Europa scalcino, la Commissione Ue si è ormai convinta che con la destra alla guida di Palazzo Chigi non c’è alcun pericolo di passi azzardati in tema di finanza pubblica; almeno temporaneamente i prezzi dell’energia stanno scendendo e presto si ridurranno pure le bollette. Se a tutto questo aggiungiamo che non sembrano esserci alle viste iniziative giudiziarie “ostili”, da sempre una costante con i governi di centrodestra, beh, alla premier non resterebbe altro da fare che governare e basta. Invece accade che Meloni paragona gli alleati all’opposizione, accusandoli di mettere «i bastoni tra le ruote», mentre nella maggioranza crescono attriti e frizioni sui principali dossier governativi. Non esattamente il modo migliore di far tornare il sereno dopo i pasticci sul prezzo dei carburanti. D’accordo, di mezzo ci saranno pure le nomine e un certo grado di litigiosità fisiologica in un Esecutivo di coalizione, ma qui si esagera. Soprattutto se si tiene conto del contesto sopra sinteticamente descritto. E se si considera che Lega e Fi, alla ricerca di un po’ di visibilità, comunque non hanno né un piano alternativo (semmai è la Meloni che potrebbe averlo) né la forza e men che meno la convenienza di provocare uno scossone a Palazzo Chigi foriero di conseguenze serie per la leader di Fdi. Finanche l’autonomia differenziata, vero macigno sulla strada della maggioranza insieme al rischio recessione, potrebbe non essere quella bomba pronta ad esplodere nell’immediato che tutti paventano. È inevitabile - per ragioni di tecnica costituzionale prima ancora che politiche - che una riforma di tal genere non potrà che procedere di pari passo con quella del presidenzialismo, con tutti i passaggi e i tempi necessari a una modifica costituzionale. A meno che la Lega non voglia andare allo scontro frontale, assumendosi però la responsabilità di frenare l’azione del Governo sui fronti economici, che sono quelli in cima agli interessi degli italiani. Per evitare inutili scaramucce e massimizzare il sostegno della sua maggioranza, la premier dovrà essere meno dura con gli alleati: dimostri di voler guidare tutta l’alleanza, non solo il suo partito. Sia inclusiva. E ponga fine alla guerra fredda con Berlusconi. Il leader di Fi è necessario a Fdi proprio per frenare Salvini sull’autonomia: il Cavaliere sa che non può certo rinunciare alle residue casseforti elettorali rimastegli nel Sud, con i suoi governatori in Sicilia e Calabria che della bozza Calderoli non vogliono sentirne parlare. Serve un vertice di maggioranza per schiarirsi le idee e mettere in fila le priorità, a iniziare dalla riduzione delle tasse. Non basta dire “comando io e si fa così perché sono il partito più grosso”. Al contrario, proprio perché prima formazione politica, Fdi dovrebbe farsi carico d’iniziative aggreganti e stringere i bulloni del centrodestra, non allentarli. Prima la Meloni ne prenderà consapevolezza e meglio sarà.