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Nobel: l’importanza della ricerca di base

Opinionista: 

Pochi giorni fa, per la prima volta due donne hanno vinto, insieme e da sole, il Premio Nobel. È una notizia che fa scalpore. E quel ”da sole” vuole mettere in evidenza quanto è stata grande la discriminazione delle donne nella scienza e quanto siano grandi, ancor oggi, gli squilibri tra generi. Ma c’è un’altra considerazione da fare. Si tratta, infatti, di un chiaro esempio di quanto la ricerca di base, quella che nasce dalla “banale” curiosità di conoscere cose nuove senza chiedersi se esse abbiano applicazioni commerciali immediate, sia cruciale per costruire le basi per le grandi applicazioni che cambiano la vita dell’uomo. Questa è la storia. Circa trent’anni fa, un giovane studente di dottorato dell’Università di Alicante, Francisco Mojica, fece una scoperta per lui molto interessante. Un batterio estremofilo, chiamato Haloferax mediterranei, vive nelle paludi vicino alla sua Università. È estermofilo, perché è capace di vivere in condizioni estreme, proibitive per qualsiasi essere vivente. Un po’ come accade per Sulfolobus sulfataricus che è capace di vivere ad una temperatura di 90°C nella Solfatara di Pozzuoli. Il giovane dottorando scopre nel Dna di questo batterio alcuni pezzi di Dna ripetuto, apparentemente di poco interesse. Ma ne rimane affascinato e si accorge che pezzi di Dna simili erano stati trovati da alcuni giapponesi in un batterio comunissimo, Escherichia coli, che tutti ci portiamo dentro e che è tutt’altro che estremofilo. Considerando che i due batteri sono separati da milioni di anni di evoluzione, Mojica si convince, fedele agli insegnamenti di Darwin, che questi piccoli tratti di Dna dovevano necessariamente svolgere una funzione importante. Senza finanziamenti e con poco credito tra i suoi colleghi, Mojica non si scoraggiò. Negli anni successivi trovò che molti altri batteri avevano questi pezzetti di Dna ripetuto. Formulò varie ipotesi sulla loro funzione, fino a che un giorno fece attenzione ad una cosa apparentemente bizzarra. I pezzetti di Dna ripetuto non erano attaccati uno all’altro, ma erano separati tra loro da altri piccoli tratti di Dna tutti diversi uno dall’altro. Pensò: perché non guardiamo un po’ meglio questo Dna separatore? Immaginiamo la sua sorpresa quando si accorse che questi pezzetti di Dna separatore era uguali a tanti diversi pezzi di Dna di virus che infettano i batteri. È davvero una grande scoperta: Mojica si convinse che i batteri hanno una specie di sistema immunitario adattativo che li protegge dalle infezioni da parte di virus. Cercò di pubblicare questa scoperta in una rivista scientifica di prestigio, ma non fu accettata. Negli anni successivi, altri ricercatori hanno poi compreso a cosa servono quei pezzetti di Dna. E dopo molti anni ancora due ricercatrici, Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna, oggi premiate con il Nobel, hanno sviluppato un metodo per modificare il Dna, e forse curare molte malattie, basato su quei piccoli pezzi di Dna e sui tratti separatori che Mojica aveva scoperto da studente di dottorato. Una conferma che a volte la ricerca che sembra poco importante, che non viene finanziata perché senza applicazioni immediate, che viene snobbata dagli stessi ricercatori, la cosiddetta ricerca di base, è fonte di grande progresso. Se non conosciamo cose nuove finisce, prima o poi, che non abbiamo nulla di nuovo da applicare. Per chiudere prendo a prestito le parole pronunciate da Guglielmo Marconi nel giorno del suo insediamento alla presidenza del Cnr:... la collaborazione fra Scienziati, Ricercatori ed Industriali non deve allontanare il nostro pensiero dal vasto campo di molte utili ricerche, delle quali il risultato non è sempre destinato all'applicazione industriale. Il valore di uno scienziato o di un ricercatore non può essere commisurato col solo immediato rendimento dell'opera sua.”

*Ordinario di Biologia Molecolare Federico II