Non basta aver messo Salvini in fuorigioco
Partiamo da un dato che sembra essere scomparso dall’orizzonte dei dibattiti e delle analisi più o meno convincenti della stampa e dei mezzi di comunicazione. Eccolo: chi ha avviato il dibattito politico (anzi lo scontro virulento) tra le due maggiori forze del passato governo? Matteo Salvini sulla base di un calcolo rivelatosi alla fine sbagliato: la certezza, ben presto smentita, di una capitolazione senza neanche l’onore delle armi, del primo ministro, il quale, molto più furbo dell’iroso Ministro degli Interni, ha chiesto ed ottenuto un dibattito parlamentare caratterizzato da un impietoso elenco degli errori e delle posture quasi dittatoriali e certamente sovraniste e xenofobe di Salvini. Non è mai troppo tardi dice il ben noto motto, visto che per 14 mesi Conte ha avallato la politica della coppia gialloverde. Ma fatto sta che una volta respinta la mozione di sfiducia, si è aperta la strada delle consultazioni e della creazione di una nuova maggioranza, questa volta rossoverde. Sono in molti, anche a sinistra e io tra questi, che ritengono un errore pensare che la necessaria messa fuori gioco di Salvini possa da sola rappresentare un obiettivo vincente del nuovo governo. Il problema non è Salvini ma la scelta coraggiosa di mettere in campo quelle scelte politiche che siano in grado di risolvere, o quanto meno, di iniziare a risolvere, problemi e situazioni che hanno offerto il necessario carburante alla crescita del malessere di milioni di italiani. Guai allora se il nuovo governo inaugura una politica di restrizione e di austerità solo perché è dettata dai parametri europei ancora caratterizzati da una impostazione liberista e meramente contabile. Se passasse questa linea si contribuirebbe in modo irreparabile ad alimentare la rabbia e il disagio sociale dinanzi a un governo che non metta mano a un disegno di progressivo ridimensionamento della diseguaglianza sociale, a progetti che fronteggino gli effetti distruttivi del cambiamento climatico, che guardino al mondo industriale in modo diverso, muovendo dall’innovazione tecnologica e produttiva e non dall’attacco all’occupazione, che risolvano il dramma delle migrazioni, individuando un giusto mezzo tra l’inalienabile diritto di ospitalità e la razionale e giusta redistribuzione a livello europeo di grandi masse di diseredati. Molti ed io con loro mantengono uno scetticismo verso il governo che però non è pregiudizialmente negativo. Esso guarda soprattutto agli impegni positivi e ancor più agli atteggiamenti costruttivi e non pregiudizialmente scettici verso i sindacati e a tutte le altre forme anche inedite di organizzazione sociale. Guai se il governo, specialmente nella sua componente di sinistra, si rinchiude nei palazzi del potere e non si dispone all’ascolto quotidiano degli ultimi: dei giovani che stanno emigrando massicciamente dal nostro paese, dei disoccupati le cui fila si stanno sempre più ingrossando, delle associazioni che hanno a cuore la difesa dell’ambiente, della rete di organizzazioni no profit che accolgono e hanno cura dei migranti che arrivano nei nostri porti, dei tanti democratici e difensori della Costituzione repubblicana che chiedono la revoca immediata di norme apertamente incostituzionali come il decreto sulla sicurezza e il progetto di autonomia differenziata che se fosse mantenuto affosserebbe definitivamente quel che resta del tessuto produttivo e delle norme di carattere sociale che garantiscono l’uguaglianza delle prescrizioni medico-sanitarie e il potenziamento delle strutture e dei servizi che garantiscano l’istruzione pubblica ad ogni livello. Fino a pochi giorni fa si potevano registrare quotidiane e giuste manifestazioni contrarie alla politica sovranista e agli eccessi di una propaganda quotidiana, tutta ispirata alle parole d’ordine del “prima gli italiani” e “chiudiamo i porti”, che vedeva crescere il consenso intorno alla Lega. Ora mi sembra che tutto si sia fermato e che si profili un consenso, per così dire, cauto e attendista. Ma è il popolo, le organizzazioni sindacali, le sezioni del Pd e di Leu, le organizzazioni locali (e non il surreale e antiparlamentare Rousseau) del movimento 5 Stelle che devono premere sul governo perché realizzi i punti qualificanti del programma e che dia un segnale indispensabile e preliminare se non si vuole subito sbandare e finire fuori strada: non dare l’impressione di dover accettare ad ogni costo le politiche restrittive della commissione europea e lavorare invece ad un programma di espansione produttiva e di piena occupazione, di difesa ed espansione del Welfare. Insomma quello stato di attesa e di sospensione del giudizio va superato già alle prime prove: occupazione, politiche giovanili, ambiente, difesa della Costituzione e attuazione delle sue norme di civiltà e umanità.