A proposito di una recente intervista a Paolo Maddalena
La recente intervista, rilasciata da Paolo Maddalena, già vicepresidente della Corte costituzionale, che si sofferma sulla riforma dell’autonomia di Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, sembra ricalcare la riflessione che ho proposto in occasione del convegno “I soggetti e le azioni della politica nella storia del pensiero”. Un confronto animato da Robertino Ghiringhelli che, in quella circostanza, si soffermava su Gaetano Mosca, diradando alcune ombre dell’endiadi che vuole leggere il rapporto tra “diritto” e “politica”, vissuto e forse subito da Vittorio Emanuele Orlando, fondatore della scuola giuridica italiana di diritto pubblico. Sembra, infatti, che – contrariamente a quanto taluni ritengono – Roberto Calderoli, stia proponendo una prefigurazione di Vittorio Emanuele Orlando, che consente di identifica[re] nello Stato-persona il titolare della sovranità, l’espressione storica del “popolo organicamente considerato”, il soggetto legittimato a cogliere e dichiarare, sotto forma di legge, il diritto storicamente formatosi nella coscienza giuridica del popolo». Orlando lo evidenzia all’Assemblea costituente, quando chiede “a che cosa serve, quale fine speciale ed essenziale può avere [... il] titolo secondo, che abbonda di definizioni”. L’attenzione si sofferma, quindi, sull’“istituto originario”, “che precede lo Stato”, come per esempio, il comune, la città. Nessuno penserà che Roma esista, perché la Costituzione italiana la riconosce, e quello che si dice di Roma si può dire di qualunque comune: forme di vita collettiva, che sorgono naturalmente, originariamente. Lo Stato le disciplina, ma non le crea; esse dunque sono originarie. Di queste stesse “regioni”, che creiamo, talune ‒ non tutte, forse ‒ hanno una radice, indubbiamente, originaria; ossia nel tempo precedono lo Stato” (23 aprile 1947). Lo stesso Vittorio Emanuele Orlando chiarisce ancora che “quando uno Stato positivo stabilisce il suo diritto, esso si muove entro limiti, predeterminati dalle condizioni svariate e complesse della coscienza giuridica del popolo”. “Né, certamente, a questa regola fa eccezione quella sfera di diritto, che regola il modo concreto”, per il “riconoscimento di alcune condizioni essenziali per il rispetto della personalità umana, le forme e le garanzie onde la libertà individuale”. Sono, in altri termini, la “coscienza giuridica del popolo” e le realtà ad esse connesse a “galleggiare nella storia” e non il “diritto”. È questo il limite che indusse Orlando a “diffidare della Costituente” ed a proporre un “ordine del giorno”, “durante una seduta dell’Assemblea costituente”, “volto a eliminare dalla Costituzione, ovvero a contenere in un preambolo, le norme relative ai rapporti etico-sociali, alla famiglia, alla scuola, alla salute, all’arte e alla scienza”. Una proposta alla quale “si oppo[se] Costantino Mortati”, «afferma[ndo] così la forza del potere costituente, quel “terribile” potere che Orlando temeva e dal quale rifuggiva», perché «finiva con lo scardinare il suo metodo, i suoi criteri tecnici del diritto pubblico». Orlando, in tal senso, anche nella prefazione che legge la Costituzione della Repubblica Italiana, dopo aver rammentato “l’Imperatore Giustiniano”, la «prodigiosa codificazione del suo “Corpus Juris”» e la “sua pretesa, di sopprimere ogni maniera di interpretazione obiettiva”, evidenzia come “la nuova Costituzione d’Italia pon[ga], appena nata, la questione categorica ed ardua” che chiede di “appresta[re i ...] mezzi”, “atti [all’ ...] interpretazione di quella fonte di diritto”, “la più solenne, almeno formalmente, nella vita dei popoli moderni”. Una valutazione avvalorata da una considerazione: “non è possibile [...] pretendere [...] di analizzare e interpretare mediante criteri giuridici la politica e mediante criteri politici il diritto costituzionale”. Una possibilità negata, che consente anche di declamare “il senso della essenziale diversità di diritto e politica”. Un vizio genetico subito anche da Vittorio Emanuele Orlando nel segno della distinzione da Gaetano Mosca e forse oggi da Roberto Calderoli. Anche “Orlando – come evidenzia Cassese – ebbe un atteggiamento patriottico, si sentì il continuatore dei patrioti e degli statisti del Risorgimento; ebbe il sentimento delle carenze costituzionali del nuovo Stato”. Senza dimenticare – come evidenzia Vittorio Emanuele Orlando – che il “giurista” non è chiamato ad attardarsi sullo “Stato ottimo”, ma sullo “Stato” e sul “governo esistenti”, per cui “il cartesiano cogito ergo sum, applicato allo Stato, si trasforma in un iubeo ergo sum” e “lo Stato esiste in quanto comanda e vale in quanto ha la forza di far rispettare il suo comando”. Anche questo sembra un aspetto della nuova visione autonomistica. Una riflessione risolutiva che sembra rammentare, anche ai detrattori dell’operato di Roberto Calderoli, il “motto veneziano”: “pezo el tacon del buso”. Lo stesso motto che il siciliano Vittorio Orlando rammentava all’Assemblea costituente.