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Prudenza e responsabilità, ma poi servono i risultati

Opinionista: 

Un ragionevole compromesso. La manovra economica del Governo è come lo yogurt: i due terzi degli interventi sono destinati al caro bollette e scadranno il 31 marzo 2023. Dopo serviranno altre risorse che allo stato restano un’incognita. Il dato politico è che questa è la legge di Bilancio di Meloni e Giorgetti, non certo di Salvini. Per quest’ultimo c’è solo qualche specchietto per le allodole (una piccola estensione del regime forfettario per i lavoratori autonomi che non è per nulla una Flat tax). I risultati si sono visti subito: rating, spread, tassi d’interesse e reazioni dei mercati sono stati silenziati. Alla faccia di chi aveva preconizzato chissà quali sfracelli. Questo comportamento mette al riparo dal precipizio e va elogiato. Detto questo, si può fare di più. Si deve fare di più. Ora ci si deve muovere sul doppio fronte degli investimenti (soprattutto al Sud) e delle riforme. E bisogna farlo subito. Prudenza e responsabilità della legge di Stabilità sono un merito dell’Esecutivo, ma guai se si trasformassero in un freno a fare le cose. Ad esempio il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, ha detto che la riforma fiscale arriverà il prossimo anno con una nuova delega. Ecco, sarebbe molto meglio evitare questo strumento già utilizzato tante, troppe volte in passato: una delega nel 2023 significherebbe una riforma fiscale in vigore (forse) nel 2024 da applicare nel 2025. Vi pare che famiglie e imprese possano attendere ancora tutto questo tempo? Datevi una mossa. Il Governo deve subito mettere al centro della sua azione la mobilitazione degli investimenti nel Sud, nella consapevolezza che non saranno i prepensionamenti, l’aumento del tetto al contante o qualche mancetta sparsa qua e là a produrre Pil, occupazione e consumi, ma piuttosto la capacità di fare investimenti pubblici e attrarre quelli privati. Soprattutto stranieri, visto che i capitali nazionali latitano. Non si deve avere paura di accelerare al massimo la sburocratizzazione per attrarre il maggior numero possibile di investitori e bisogna farlo ora, dimostrando di avere una visione da Esecutivo politico. Per evitare di arrivare a giugno con una contrazione dell’economia che sarà addebitata alla Meloni, con quest’ultima che darà la colpa a chi l’ha preceduta. Il giochino è noto, ma a restare col cerino in mano non possono essere ancora una volta gli italiani. La seconda cosa su cui spaccarsi la testa subito è il Piano nazionale di ripresa e resilienza. I soldi ci sono e attendono solo di tradursi in cantieri e assunzioni nel Mezzogiorno. Ma per farlo servono innanzitutto procedure semplificate e veloci, capacità di fare i progetti e la volontà politica di potenziare e dare attuazione nei tempi prestabiliti alle riforme di giustizia, fisco, appalti e Pubblica amministrazione. Tutto il resto deve andare in secondo piano. Non è il momento del discutere, ma dell’agire. Così come, riguardo al debito pubblico, bisogna programmare un serio piano di riduzione pluriennale di questo enorme fardello che ci impedisce di fare qualsiasi cosa, mentre è ora di tirare fuori un po’ di coraggio per ridurre i mille sprechi di una spesa pubblica giunta a sfondare i mille miliardi: già solo razionalizzandola si ricaverebbero un bel po’ di risorse da mettere sull’occupazione. Magari per rimpinguare il mini-taglio del cuneo fiscale, che così com’è non servirà a molto. Prudenza e responsabilità si misureranno soprattutto su questo fronte. Che poi è quello meridionale della partita economica che il Governo è chiamato a giocare, visto che quei soldi l’Europa li ha dati all’Italia proprio con la missione di ridurre il divario Nord-Sud. Serve una politica silenziosa, che dimostri una volta tanto di saper essere concreta. Con prudenza e responsabilità, certo. A patto, però, di portare a casa i risultati.