Quante storie sulla storia… qualora sia Wanderlingh
Una volta finita la mia carriera a Parigi, ho scelto di vivere a Napoli. L’amo, ma la vedo da un altro punto di vista, rispetto a quelli che ci sono nati. Propongo ai lettori del “Roma” di guardare la loro città attraverso i miei occhi. Sarò io il vostro Candido, tanto è vero che lui è andato a Venezia ma non a Napoli. Così come i napoletani anche io propendo a parlare con il prossimo, ascoltare la sua opinione anche se non lo conosco, la qual cosa non si fa a Parigi. Ne ho fatto un mestiere quando ero più giovane attraverso questionari e riunioni serali… a scopo di marketing. È “l’origine del male di cui soffre la nostra città”, l’argomento di discussione più frequente con i miei amici napoletani. Conoscono tutti bene la storia. Ecco qualche esempio di quello che mi hanno detto: - “L’unità d’Italia ha saccheggiato le nostre risorse, è stata questa la nostra disgrazia”. - “Abbiamo 2500 anni di storia, non si possono cambiare le antiche tradizioni!” - “Non collaboriamo con l’autorità perché siamo stati sempre dominati da imperi stranieri” - “Qui non ci si può affidare alla classe dirigente!” - “Lo Stato non fa il suo lavoro, ed è per questo che esiste la Camorra.” - “La Chiesa lenisce la sofferenza del popolo e l'aiuta attraversò la carità!” Tutto questo è esatto ma non spiega proprio l'origine dei problemi di cui soffre la nostra città. Mi sono sorpreso che i miei amici non vadano d’accordo su una spiegazione comune, semplice, chiara e precisa. Un'indagine fatta in Francia sullo stesso argomento ha constatato un consenso unanime dei francesi sulla storia del loro Paese. Ricordano (quasi) tutti quello che hanno imparato sui libri di scuola. Al contrario di Napoli dove ognuno ha la sua opinione. Tuttavia, una spiegazione semplice, chiara, precisa e giusta esiste anche qui. Ne riporto una dello storico napoletano Attilio Wanderlingh: “È la politica reazionaria e isolazionista dei Borboni, particolarmente di Ferdinando II, sebbene napoletano, ad essere la causa profonda dei problemi che persistono più o meno fino ai nostri giorni”. Questa politica consisteva in: - La messa a tacere della classe illuminata con l‘eliminazione fisica dei suoi leaders. - Il ritorno ai privilegi, alla nobiltà, alla chiesa e alla vecchia borghesia. - L'isolamento del regno delle due Sicilie “attraverso l'acqua benedetta al Nord e l'acqua salata che bagna gli altri tre lati”. “La strada verso il progresso era d'allora bloccata”, scrive Attilio Wanderlingh. E la presenza dell’esercito reale nella città durante la notte del 14 maggio 1848 faceva temere che la costituzione, concessa suo malgrado da Ferdinando II, sarebbe stata di lì a poco ritirata, e tutti i membri liberali sarebbero stati espulsi dal suo governo. Un colpo di stato del re per reprimere il movimento costituzionalista, in fatti”. “È stata la repressione sanguinaria, del’ insurrezione popolare nel 15 maggio 1848 animata dalla paura di un ritorno all'indietro che ha irrimediabilmente privato Napoli di ogni possibilità di prendere la leadership del processo unitario alla quale poteva ambire, vista la sua importanza. Non rimanevano altro che il lontano Piemonte e il regno dei Savoia, spiega lo storico napoletano in maniera convincente. Ne è seguito l'abbandono del Sud da parte dello Stato italiano, l’assenza di una classe dirigente imprenditoriale, la diffidenza verso le istituzioni, la frammentazione sociologica, il “familismo immorale", e quindi la Camorra. Come afferma il regista Mario Martone, un vero napoletano innamorato della propria città, ma da cui si è allontanato per aprirsi al mondo e all'universalismo: “Napoli è un mondo chiuso su stesso, autoreferenziale”, e aggiunge: “bisogna uccidere la tradizione affinché Napoli rinasca”. Io non ho fatto altro che riportare la spiegazione cristallina di un rinomato storico napoletano! E su queste basi si potrebbe concludere che ci sono due cose da fare: - L'apertura di Napoli al mondo e all'universale. Ciò è accaduto sul piano culturale ed economico durante i periodi in cui la città splendeva così come Londra e Parigi. E questa è la sua vocazione, secondo Giorgio Napolitano. - Una politica sociale franca e determinata concentrata sul benessere del popolo. Questo è accaduto raramente, tranne forse sotto Murat. Addirittura, il risanamento, pure intrapreso per il popolo nel 1884 è stato definito dalla grande giornalista Matilde Serao come “schermo” per nascondere la miseria del popolo. E l'albergo dei poveri, 134 anni prima, sarebbe stato costruito perché al centro della città non si vedesse più la miseria piuttosto che per un reale aiuto. Ma il primo passo sarebbe che tutti accettassero l'analisi d’Attilio Wanderlingh, altrimenti non resta che accusare il destino e lamentarsi della propria sorte. Questo, almeno, il mio punto di vista in quanto “straniero” e in quanto “Candido"!