Quel che deve cambiare per non affondare
Ogni limite ha una pazienza. E stavolta non c’è niente da ridere. Con l’ultimo decreto, che del rilancio ha solo il nome, il Governo di fatto ha sparato tutti i proiettili disponibili: quelli messi a disposizione dalla sospensione del Patto di stabilità e dai margini d’indebitamento pubblico disposti dal Parlamento. Siccome avremo bisogno di altri soldi - di molti altri soldi - non ci resta che pregare l’Europa perché si decida a darceli. E al più presto. Quello che è certo è che sarà impossibile proseguire così come l’Esecutivo ha fatto finora. Siamo riusciti nel “miracolo” di schierare una mole d’interventi paurosa, senza un solo provvedimento che metta l’economia in grado di cogliere il rimbalzo (si spera) del prossimo anno, rimanendo al tempo stesso sguarniti rispetto ai fondi che ci serviranno ad affrontare l’aumento dei disoccupati nei prossimi mesi. Il 17 agosto scadrà il blocco dei licenziamenti. Non occorre essere degli indovini per immaginare che in autunno inizieremo a valutare le conseguenze della riduzione delle attività produttive sull’occupazione. Sarà allora che si inizieranno a vedere le conseguenze degli errori compiuti da Conte e compagni in questi mesi, con la scelta di disperdere le risorse in una miriade d’interventi parcellizzati e appesantiti da una zavorra burocratica elefantiaca. Ieri il ministro Gualtieri ha detto che con il decreto Rilancio «abbiamo impostato un grande piano per la ripresa». Non si vedono né il piano né la ripresa. Nessuno sa quando arriveranno i 23 provvedimenti e i 98 decreti attuativi necessari a far funzionare il decreto, mentre non si è ancora capito che fine abbiano fatto i fondi europei non spesi. Se non riusciamo a impiegare quei soldi per il Sud neanche in un momento così drammatico, quando lo faremo? È dall’inizio di questa tragica storia che sosteniamo che con i decreti da 500 pagine, le garanzie alle banche spacciate per liquidità e i roboanti annunci di soldi che non arrivano si va a sbattere. Il tutto nell’assenza di qualsiasi indirizzo di politica economica che non sia l’assistenza, il reddito garantito e i regali a imprese decotte che continuano a bruciare denari pubblici a spese dei produttori. Una cultura superata dalla storia continua a dettare legge, senza rendersi conto che in ballo c’è la tenuta sociale dell’Italia. Finanche i Comuni stanno esplodendo. Se il Governo continuerà a parlare invece di fare, annunciare invece di far arrivare il denaro a chi tira la carretta del Pil, se non aiuterà le piccole imprese a non chiudere e non ripartiranno i consumi interni, la Nazione rischia di diventare una bomba sociale. Altro che assistenti civici! Il Governo, che non riesce neanche a mettersi d’accordo su come fare un concorso per la scuola, sta drammaticamente sottovalutando le conseguenze di ciò che sta accadendo. Siamo giunti al punto che della nostra crisi c’è più consapevolezza a Parigi e Berlino che a Roma. Il Fondo di Ricostruzione che l’Ue sta preparando per chi credete che sia se non per noi e la Spagna? Merkel e Macron hanno capito che questo non è il 2009. È peggio. E stavolta se l’Italia cade si porta dietro l’intera Europa. Nell’attesa di capire quanti soldi (e soprattutto quando) potranno arrivare a fondo perduto da Bruxelles, quello che dobbiamo dirci fin d’ora è che non potranno essere utilizzati ancora a fini assistenziali. Serve parlare il linguaggio della verità da subito: quelle risorse andranno investite nella ripresa economica. Con l’aggravarsi della crisi, milioni di persone rivendicheranno il prosieguo dei sostegni assistenziali straordinari varati in questi mesi. Uno scenario insostenibile. Per questo è urgente rimettere in moto la crescita per assorbire nel 2021 - almeno in parte - l’impatto che la crisi avrà sull’occupazione. Serviranno coraggio e polso fermo. E se questo Governo non li ha ne servirà un altro.