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Quell’antico profumo delle zagare siciliane

Opinionista: 

Le piantagioni d'arance che circondano Palermo e dintorni, colorano di riflessi dorati questa terra antica, contesa, avvinta e liberata nei secoli, e con il loro profumo pregnante e intenso caratterizzano e ridondano l'aria che vi si respira, mentre fra i loro rami infuocati dal sole, il frinire delle cicale narra e tramanda storie di sangue, d'intrighi di potere, ammazzamenti insieme ai versi eroici e amorosi di antichi trovatori. La stagione dei veleni e delle collusioni strane ci riconsegna la Sicilia di Leonardo Sciascia, che pensavamo finalmente superata, ma non è così, il teorema del "sasso in bocca" sembra essere tristemente evocato da un medico siciliano, un lestofante in camice bianco, che ne auspica telefonicamente l'attuazione, mentre all'altro capo un silenzioso ascoltatore, il governatore Crocetta, sembra far finta di niente o non capire. Piovono le smentite d'obbligo dei magistrati inquirenti, da quello stesso palazzo di Giustizia di Palermo, dove s'annidava, cospirando nell'ombra, il "corvo" e la totalità del panorama istituzionale, e non, si affretta a pronunciare parole di condanna, sentite o di circostanza che siano, ma l'Espresso insiste sulla veridicità della telefonata intercettata, ed anzi promette di fornire particolari ulteriori. Quella Sicilia che volevamo dimenticare torna alla ribalta, nonostante gli impegni pubblici profusi, le morti bianche e magistrati trucidati come Falcone e Borsellino, la vittoria di un governatore, già sindaco di Gela, una delle città più martirizzate dall'influsso mafioso, grazie ad un programma elettorale basato sulla lotta alla criminalità organizzata. La figura del chirurgo plastico Tutino emerge inopinatamente ma con incredibile velocità agli onori mediatici, grazie ai servigi professionali resi a decine di magistrati, su consiglio dell'amico Ingroia, il magistrato inquisitore, ghigliottinaro ed autarchico che tenta di assurgere alla scena politica, come un novello Robespierre, e che, ironia della sorte, dopo averlo presentato a Crocetta, di cui diventa medico personale, vede scemare la sua carriera politica in modo inversamente proporzionale al successo dell'ex figura anonima dell'ospedale di Caltanissetta, che ovviamente diviene primario del suo reparto per titoli ed onori "acquisiti", fino all'arresto per squallide vicende di denaro. Ma il frinire delle cicale e il vento caldo fra le zagare raccontano di una guerra senza quartiere con intersezioni di malaffare, che l'assessore Borsellino, appena intuìto, decide di non accettare e si dimette, sversando tutto il marciume mediatico su Tutino, e forse alimentando sospetti sullo stesso Crocetta, e strane ricorrenze di memorie antiche e di faide mai sbollite iniziano ad aleggiare nuovamente nei meandri della giustizia palermitana, mentre Tutino sembra rappresentare la prova ulteriore di un coinvolgimento negli affari milionari della derelitta sanità siciliana, di personaggi rilevanti per posizioni strategiche ed eccellenza professionale. Qualsiasi scandalo abbia frammentato il già debole sistema Italia, dai governi di centrodestra a quelli di centrosinistra, fateci caso, ha sempre presentato un elemento comune: la "Sicilia connection", altro che speranze future, e nonostante il forte segnale delle istituzioni, con l'elezione di Mattarella a Presidente della Repubblica. C'è una lettura che presuppone l'accettazione di due verità indigeste, e quindi non apprezzabili dal comune senso del "politically correct" o dal perbenismo corrente. La prima è l'irrisolta questione del rampantismo carrieristico, mediatico e politico di una certa parte della magistratura, già troppo dilaniata da correntismi partitici. A parte la crescente invasione del campo legiferativo da parte di giudici che credono così di vicariare l'inadeguatezza di una classe politica impreparata ed oscena, troppo spesso, magistrati impegnati e coinvolti in casi giudiziari spinosi e contorti, di pubblica rilevanza, operano il classico salto della quaglia, facendosi irretire dalle sirene dello scenario politico e portando alla luce improvvisa, strani legami o antagonismi con personaggi sottoposti all'esame di un tribunale, finendo per esprimere dalla nuova tribuna, opinioni e giudizi di merito, in netto contrasto con le valutazioni di colleghi ancora impegnati nel difficile ruolo giudicante: è uno scempio etico tutto italiano. La seconda, molta più delicata, e foriera di false interpretazioni fobiche, è la imperturbabile scioltezza con cui familiari di vittime della mafia, della camorra o altro, o magari di persone morte per il semplice motivo di un servizio allo Stato, sottopongano la propria vita privata al palcoscenico pubblico o politico, in nome e per conto di una memoria dovuta o pretesa. È la legittimazione duttile ed inattaccabile della rincorsa ai loro servigi, al nome, non sempre alle capacità personali, di una specie di "raccomandazione di Stato", da parte di partiti senza idee o movimenti d'opinione qualunquistici, non ha importanza, e allora ritornano i veleni, le gelosie e le invidie appena sussurrate, ma erosive nell'ombra. In fondo, questa mancanza di "esprit de finesse", di una moderata e cosciente discrezione culturale e comportamentale, è il segno dei tempi, e non aleggia ancora fra gli effluvi violenti e sanguigni della zagare, che il vento africano continua a diffondere dall'isola su per la penisola.