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Quella intellinghezia che non ci azzecca mai

Opinionista: 

Sarà la vicinanza al voto, cui ci si arriva dopo una serie di tensioni - le primarie, la raffica di ricorsi della petulante guerriglia bassoliniana dei “due euro al seggio”, il pasticciaccio delle liste - in questi ultimi giorni per davvero si sono alzati i toni del confronto con più di qualche sconfinamento. Roba da“venenum in cauda” direbbero i latini. Far, però, passare la “escalation” di levate di scudi o di turbolenze per scadimento generale della campagna elettorale, ce ne corre. Certo non abbiamo un parterre de “rois” ma neanche dei guitti. Non dimentichiamo che, tra tante persone degne in lizza, c’è anche chi ha dato conto di saper reggere per sei anni l’Unione Industriale di Napoli, la prima del Sud, non un mercatino delle pulci. Non si può fare di tutt’erbe un fascio. Naturalmente stigmatizzato tutto ciò che non contribuisce a rasserenare il clima elettorale, a destare sconcerto - e con noi lo pensa anche molta gente della strada - è piuttosto la consuetudine da parte di certa “intellighenzia” nostrana o casta culturale - fa lo stesso, che invece di fare una seria e corretta distinzione di comportamenti, di linguaggi e di programmi, è portata a generalizzare, quando qualcosa non le va per il verso giusto. È una strategia di comportamenti annosa e diffusa, oseremmo dire un pernicioso elemento distintivo. È tempo di sbugiardare queste vestali o moralisti a intermittenza. Se c’è seriamente da scandalizzarsi invece è che, da venticinque anni e passa, i cosiddetti intellettuali sbagliano puntualmente cavallo o “cavallina” su cui puntare, insomma non ne azzeccano una, scegliendo i peggiori per il governo della città e facendo cosi mancare apporti decisivi alla sua auspicata rinascita. Lo provano, in modo inconfutabile, le cronache di questi ultimi anni, in cui tranne pochi rinsavimenti, alcune prese di distanza da colossali fallimenti, il resto è stato un coro generale, un “karaoke” disgustoso di sostegno al ventennio di Bassolino, al decennio della Iervolino, al quinquennio flop di de Magistris, sempre della stessa zolfa politica o parapolitica inefficiente. Una vergogna su cui la gente, che non sia faziosa, dovrebbe riflettere. Altri un po’ più saggi, di fronte a conclamati fallimenti, come minimo si sarebbero dovuti chiedere perché ciò sia accaduto, facendo poi consequenziarie, coerenti scelte. Invece da noi non solo non vi sono mai stati esami di coscienza ma ci si indigna soltanto ad accennarli. Da qui non si esce: o questa intellighenzia non capisce un tubo di politica o sceglie per pregiudizio. Non vi è una terza via. Poiché ci riesce difficile accettare che taluni luminari della politica, fari di sapienza possano sbagliare non una, ma tre volte, addirittura una quarta volta, c’è da credere che a Napoli è davvero sovrano il pregiudizio, secondo Flaiano, una “bilancia guasta”. Solo così si può capire il turpe “karakiri amministrativo” che dietro l’enfasi o la favola dell’orgoglio ritrovato per Napoli, si va consumando da decenni ai danni della città.