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Riapertura post-Covid o pandemia istituzionale?

Opinionista: 

Quello che i politici stanno offrendo, da qualche tempo, è davvero uno spettacolo indegno, per un Paese civile, Pensate a quanto è successo in questa ultima settimana, a quel fiume di odio che sgorgando dal “Monticello5S”, avvelena il nostro Paese e spinge un illustre sconosciuto, quale Riccardo Ricciardi che, grazie a un terno al lotto, oggi si ritrova parlamentare, e, quindi, si sente autorizzato a sputare veleno sul centrodestra, anche a costo di scatenare una rissa in diretta tv dall'aula di Montecitorio. Il tutto, mentre è sempre più difficile capire se con i suoi dpcm, i “vi consento”, i 18 pletorici cts, Conte stia combattendo il Coronavirus o non stia piuttosto tentando di sfruttare l'occasione per far crescere clientela e visibilità personali, per conquistare spazi e consensi in prospettiva elettorale. E la stessa domanda è giusto porsela per alcuni presidenti regionali, fra cui, certamente, “primus interpares”, De Luca, che spera – in vista delle prossime elezioni, di recuperare i consensi perduti, sostituendo la stella di sceriffo con la “maschera” di Zorro e chiedendo a Conte: il ripristino delle ex zone rosse della Campania fra quelle aventi diritto al ristoro per la pandemia; la restituzione di 240 miliardi di euro incamerati dal Mef, tantissimi anni addietro ed infine il riequilibrio del riparto dei fondi della sanità per i quali la Campania riceve annualmente 45 euro pro capite in meno. Tre richieste legittime, ma, delle quali - a parte la prima, collegata strettamente alla congiuntura emergenziale – è fin troppo evidente la strumentalità, visto che non è certo questo il momento per discuterne. Altrimenti perché non chiedere anche la restituzione dei tesori dei Borbone, rapinati dai Savoia? E, poi, non ancora soddisfatto, non convinto della giustezza di ridare il la ai trasferimenti fra regioni a partire dal 3 giugno, “deciderà il giorno prima” se alzare le sbarre alle “dogane” campane per lasciar passare chi viene dalle altre regioni e dall'estero. Ancora, è l'unico presidente regionale ad aver detto no, all'intesa nazionale per la ripartenza, rifiutando la logica contiana del “se - nel post lockdown - tutto va bene è merito del governo, ma se qualcosa non dovesse funzionare la responsabilità sarà interamente delle regioni”. Il che, sia chiaro, è cosa buona e giusta. Lo fa, però, con la stessa supponenza, protervia e arroganza con la quale, il premier “consente” agli italiani di vivere. Purché, ovviamente, rispettino diktat e imposizioni. Soprattutto non “mettano lingua” nelle sue decisioni. Tant'è che, al collega di Rtl che si è “permesso” di chiedergli lumi sull'operato di Arcuri, risponde “se è in grado di fare meglio, si proponga, la terrò presente”. E questo è solo il top di un inaccettabile scontro istituzionale fra governo e regioni che non ha alcunché da spartire con la pandemia ed è una presa in giro per cittadini che ancora una volta stanno dimostrando – vedi i 22,3 miliardi raccolti in appena 5 giorni dai Btp Italia emessi per la ripartenza post-Covid, fra i risparmiatori italiani - di essere decisamente migliori di chi li governa e i cui ritardi sbloccano i licenziamenti, cancellano la proroga cig e che gli chiede per il mese di giugno il saldo di ben 25 miliardi di imposte. E che, purtroppo, dopo aver dimostrato in maniera solare tutta l'incapacità a combattere l'emergenza sanitaria, ora rischia di aggravare ulteriormente la crisi economica prodotta dalla lunga chiusura, dalla pochissima chiarezza nella sua gestione e nelle centinaia di miliardi promessi da Giuseppi e mai arrivati a destinazione. Perché inesistenti o perché bloccati dalla farraginosità delle norme. Basti pensare che per mettere in moto solo i 55 miliardi “annunciati” dal decreto Rilancio c'è bisogno di ben 98 decreti attuativi. Mentre quelli annunciati precedentemente nessuno li ha ancora visti. Capito perché la Meloni continua a crescere; appena 5 italiani su 100 si fidano dei politici; e magistrati e giornalisti processano Salvini per motivi ideologici?