Rimpasto, è un gioco pericoloso ad alto rischio
È partito il grande gioco che appassionò a lungo i protagonisti politici della prima Repubblica: il rimpasto. Un gioco di abilità ad alto rischio che inevitabilmente accontenta alcuni e scontenta altri innescando furori e rancori e, se la faccenda prende una brutta piega, foriero anche di vendette che, nelle presenti circostanze potrebbero consumarsi al momento dell’elezione del presidente della Repubblica. Dunque, Renzi non ci sta a rabberciare la compagine di governo e punta decisamente sul Conte ter, con apertura e chiusura di crisi formale nelle cui pieghe possono annidarsi innumerevoli insidie. Ma potrebbe acconciarsi ad accettare l’idea del rimescolamento a patto di ottenere un bottino sostanzioso che i suoi numeri in Parlamento non giustificherebbero. Se, in ipotesi, il presidente del Consiglio mollasse la presa sul controllo dei Servizi Segreti, licenziasse le ministre Azzolina e De Micheli rimpiazzandole con personalità di renziana provenienza, probabilmente la salita al Colle se la risparmierebbe. Ma siccome l’uomo è cocciuto e non meno lo sono i dirigenti del Pd e del M5S che vedrebbero nel nuovo scenario politico la proiezione della loro sconfitta e la vittoria dell’acerrimo nemico, è difficile che accada. Dunque, si torna alla casella principale, la crisi con quel che segue, ed un probabile governo non più guidato da Conte, ma da un signore che alcuni identificano in Draghi. Possibile? È piuttosto difficile innanzitutto per l’indisponibilità degli azionisti più rilevanti di maggioranza. Poi perché l’ex-presidente della Bce non ha nessuna intenzione di bruciarsi in vista del Quirinale per il quale al momento è il solo candidato credibile e votabile. Infine per la contrarietà del Capo dello Stato il quale, giustamente, in questo momento tiene più a rafforzare la coesione sociale che ad avallare piani scriteriati in piena pandemia che non si sa dove potrebbero portare, pur escludendo le elezioni anticipate che soltanto Giorgia Meloni vede come la panacea di tutti i mali, ma non ha fatto i conti con i suoi alleati (Salvini e Berlusconi) che non vogliono neppure sentirne parlare. C’è poi un piccolo particolare che milita contro la crisi al buio: il tempo, non in senso metereologico, naturalmente. Il tempo politico che nei prossimi mesi sarà scandito da una prevedibile, aspra contesa sulla nuova legge elettorale. Intendiamoci: si può anche andare a votare nel 2023 con l’attuale sistema, ma dopo aver tagliato i parlamentari i collegi non sarebbero più rappresentativi e dunque bisogna porvi mano. Tutti questi motivi, uniti ad una pressoché generale indisponibilità a sfiduciare l’attuale governo, fanno pensare che Renzi (e non solo) lo si può tenere buono con il rimpasto evocato in queste ore nel quale salterebbero teste eccellenti, mentre altre soddisferebbero ambizioni covate a lungo e disattese da giravolte incomprensibili. Gli indiziati a lasciare le poltrone sono molti e altrettanti quelli che dovrebbero occuparle. Se i tasselli del mosaico vanno a posto, cambierebbe davvero qualcosa? Certo, nessuno rimpiangerebbe la Azzolina, la De Micheli, Buonafede o Spadafora. Ma i loro sostituti, chi più chi meno, si equivalgono per valore politico e competenza provenendo da una classe politica a dir poco mediocre. Forse si salverebbe, qualora entrasse a far parte dell’esecutivo la ex-giudice della Consulta Marta Cartabia, ma non sarà certo decisiva la sua presenza per incidere sulla qualità complessiva del governo. Il problema, come si è capito, sono sì i ministri da cambiare, ma soprattutto sono le nomine da fare. E siccome Conte dovrà procedere ad una valanga di promozioni e rimozioni, ecco che Renzi, con spirito di servizio naturalmente, lancia il guanto di sfida al premier pur di non farsi mettere nell’ angolo nel corso della decisiva partita. Un tempo queste faccende venivano rubricate dai commentatori come esempi della peggiore partitocrazia. Il termine è andato in disuso, ma il suo spirito ferreamente è rimasto in tutte le formazioni politiche. Si gioca sulla pelle del Paese, in un momento peraltro drammatico, e non si tiene conto dell’ essenziale: l’interesse generale che i cittadini vedono pericolosamente degradare. Chi si assumerà la responsabilità dell’ulteriore sfascio del Paese? Ma nessuno naturalmente. Anzi, tutti gridano come se volessero far sapere di essere salvatori della patria cacciando qualcuno per mettere al governo qualche loro clone. Sarebbe divertente se non fosse drammatico. E, per di più, pericoloso.