Salviamo la cultura di Napoli che muore
Cari amici lettori, io sarei molto contento se potessi compiacermi di qualcosa che è accaduto nell’ultima settimana, ma, poiché questo sarebbe un miracolo, mi auguro che non accada nulla di nuovo. È come quando uno guarda nella cassetta della posta: piuttosto che tasse e bollette, è meglio che non ci sia niente. Beh, mi direte voi, questa settimana c’è stato il raduno della destra ini piazza San Giovanni (e dintorni) a Roma, con la folla oceanica che ha causato qualche fenomeno allergico a Conte e a tutta la sua nuova brigata. I dolori addominali hanno indotto i media di regime ai soliti falsi, come le fotografie della piazza molto prima che iniziasse la manifestazione, e alle critiche per la presenza di Casa Pound. Sta di fatto che gli estremisti neri non hanno provocato incidenti e nemmeno la solita presenza provocatoria di Gad Lerner è riuscita a turbare la folla sovranista. Un raduno bello, che però non ha cambiato, né poteva cambiare il tran tran dell’Italia nelle sabbie mobili e men che meno quello di una Napoli con l’acqua alla gola. Zingaretti, Di Maio e Renzi litigano ma restano tutti insieme appassionatamente e i provvedimenti del governicchio che vanno avanti e indietro non presentano alcun aspetto positivo, tali non potendosi considerare l’aumento della già esagerata pressione fiscale e l’ulteriore limitazione della libertà dei cittadini. Ora hanno finto di ricordarsi dei terremotati umbri, con un progetto a futura memoria, ma soltanto perché hanno una dannata paura delle elezioni regionali di domenica prossima. A Napoli nulla di nuovo. Non sono in programma, per il momento, meganozze a sbafo nel Largo di Palazzo. Non è in programma, ovviamente, un progetto per ripristinare il servizio di pubblico trasporto, né la manutenzione dei giardini, né l’incolumità per chi circola a piedi. Si annunzia un ulteriore peggioramento del traffico urbano per lavori alla tangenziale: Cirino Pomicino, presidente della società che gestisce quell’arteria, ha rappresentato la necessità di riaprire il lungomare, ma nessuno crede che Giggino ‘e cópp’o Vòmmero possa fare una cosa giusta in contrasto con le sue idee sballate. L’economia va di male in peggio: la Whirpool, come previsto, non è stata salvata e nessuna iniziativa è in cantiere per recuperare posti di lavoro. L’altra sera sono stato a una bella manifestazione al municipio di Vomero-Arenella in ricordo di Angelo Manna. Un grande napoletano che, come in più hanno fatto notare, ha anticipato i tempi denunziando i mali, soprattutto culturali, che stanno uccidendo il nostro popolo. C’è stato chi, non senza un fondo di verità, ha paragonato i napoletani (quelli veraci!) agli indigeni dell’Amazzonia. Occorre, ovviamente, un rilancio della nostra cultura, delle sue profonde radici. Ma dovrebbero essere i giovani a riscoprirle, parlando la nostra lingua e studiando la nostra storia. Così, mettendo un po’ da parte telefonini e war games, smetterebbero di usare armi da fuoco e da taglio a ogni pié sospinto e di aggredire il personale pubblico al lavoro sui mezzi di trasporto e nelle strutture sanitarie. Sono tutte perversioni che nella grande cultura napoletana non esistono. Certo, il primo passo per ricominciare a vivere è l’accantonamento dei gruppi di potere che si sono ricompattati sotto il giurista bifronte della Capitanata. Ma, poi, occorre che la riscoperta delle radici sia il programma base di un nuovo corso. Le radici giudaico cristiane, che ormai neanche il Vaticano innaffia più, ma anche le radici del nostro popolo trimillenario, sopravvissuto a innumerevoli invasioni, che la pseudocultura globalista vuole estirpare, così come tutto ciò che ci fa esseri umani, individui uno diverso dall’altro, ma legati in gruppi familiari, etnici, religiosi, nazionali e culturali. La tradizione ci può salvare; questa sciocca e malefica modernità può soltanto distruggerci, come la plastica distrugge i mari.