Salvini: fa da sé, magari per tre, ma non per il Sud
È giusto riconoscerlo. Dal marzo 2018, non un appuntamento elettorale è stato fallito dalla Lega. Tant'è che dal 17% dei consensi delle Politiche, è arrivata al 34% delle Europee del 26 maggio scorso. E ora, Matteo Salvini pensa alla grande e immagina di poterlo fare anche senza il contributo di altri compagni di viaggio. E meno che mai di quelli del vecchio centrodestra. E neanche col nuovo, visto che ha bocciato anche l'idea di federazione appena avanzata da Berlusconi. Perché il leader forzista “rappresenta il vecchio”. Ormai, i partiti non si fondano più su progetti e programmi ma su “capi” acchiappa-consensi. E sotto questo aspetto lui – con le sue facce truci (quando occorre per mettere in evidenza i muscoli e imporre le sue scelte) e l'assoluta capacità di parlare allo stomaco, più che al cuore, degli elettori - è il più performante fra i suoi colleghi. E che abbia voglia di fare da solo e senza il centrodestra, è avvalorato dalle sue dichiarazioni alla stampa: “Io col vecchio centrodestra non tornerò mai, questo deve essere chiaro. Governiamo insieme nelle Regioni, nei Comuni, ma finisce lì. A livello locale funziona”. Non sarà perché a livello periferico, data la sua posizione di forza, può fare la parte del leone nella spartizione delle poltrone di vertice? Altrimenti, verrebbe da chiedergli, (ma risponderebbe?) perché, se “funziona” in periferia, dovrebbe fallire al centro? Di più – visto che è quella di centrodestra, la coalizione di cui fa parte da tempo, con cui ha governato a lungo, con la quale amministra regioni e comuni - cosa gli ha fatto cambiare idea in così breve tempo? Forse l'essersi reso conto che, “allearsi” con i 5S, sul piano politico, può essere molto più utile che “schierarsi” con il centrodestra. Berlusconi (nonostante l'età e il crollo di Fi anche alle Europee ha ottenuto preferenze da record) e Meloni (tra l'altro, concorrente pericolosissima sul fronte Mezzogiorno), non gli avrebbero consentito – a differenza di Di Maio – né glielo lascerebbero fare in futuro, di spadroneggiare e fare, il “bello ed il cattivo tempo”, accreditandosi i meriti per quel “pochissimo” (immigrazione) di positivo che si è realizzato e scaricare su di loro tutte le responsabilità di ciò che non si è fatto o si è fatto male: dl dignità, reddito di cittadinanza, quota 100, crisi industriali, ecc. Come se lui, avesse trascorso quest'anno su un pianeta diverso, afflitto da un unico problema: la sicurezza. Cosa che gli avrebbe impedito di crescere tanto velocemente. Il che spiega anche come mai – pur nel momento in cui “Giggino” & c, per recuperare consensi, si sono messi a brandire la spada del giustizialismo contro la Lega e quindi nel momento di maggiore complessità fra loro – ha continuato a ripetere di aver firmato un contratto per 5 anni di legislatura e – se non lo costringeranno a farlo – non ne chiederà mai la risoluzione anticipata. Può darsi, ma non è detto. E comunque, non a stretto giro di posta. Sa che, da solo, in questo momento, i consensi, soprattutto quelli al Sud, gli consentirebbero si, di vincere, ma non di governare. Del resto non potrebbe essere diversamente. Per il Mezzogiorno, il governo – a parte l'assistenzialismo – ha fatto tanto poco che nulla e lui, ancora meno. Ha voltato regolarmente la faccia dall'altra parte per non vederne le criticità, fors'anche perché senza idee per risolverle: disoccupazione, deindustrializzazione, infrastrutture, occupazione, istruzione, malasanità, scarsità e poca qualità dei servizi, ecc. E a rimetterci le penne, stavolta, sarebbe lui. Che, però, sembra aver già scelto la strada alternativa, per salvare capra e cavoli. L'alleanza con il nascente partito dei “governatori” di Giovanni Toti e magari FdI per rassicurare il Mezzogiorno. E non sarà certo il meglio per il Sud. Che, ancora una volta, al momento del voto, in mancanza del meglio, dovrà contentarsi del meno peggio.