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Siamo in “zona rossa”, ma dove sono i controlli?

Opinionista: 

Ha usato la consueta, sferzante ironia, Vincenzo De Luca per commentare la permanenza della Campania nel terribile rigore della zona rossa. Almeno per il momento c’attendono altri cinque giorni di duro regime, che dovrebbe vederci tutti tra casa e lavoro, al massimo breve passeggiatina, con cane al seguito se detenuto, intorno all’isolato. Negozi chiusi, strade vuote o semivuote, spirito depresso e contrito. A parte la depressione che viaggia per altri canali, il resto non c’è. Perché tutto potrà contestarsi al nostro Governatore, non certo di non aver occhi per vedere e lingua tagliente per parlare. La zona che ha ribattezzato“rosé”e che lui vede“rossa” solo dove si coltivano i vitigni dell’ottimo aglianico, effettivamente ormai di regime duro non ha più nemmeno l’ombra, e da giorni. Anzitutto, a mancare sono i controlli, praticamente del tutto. Ha dell’eccezionale che qualcuno si preoccupi di chiederti ragione di spostamenti in città o da e verso di essa. Reco una testimonianza. Un paio di giorni fa stavo recandomi per lavoro verso via dei Tribunali, servendomi della fida mia Smart. Mi fermo dinanzi ad alcuni pedoni che stavano per impegnare l’attraversamento loro riservato a norma del codice della strada, insomma, le mitiche zebre. L’auto che mi seguiva mi ha anche tamponato in pieno, facendomi compiere un modesto balzo in avanti; per fortuna nulla più che danni alla carrozzeria, esenti il pedone ed io anche da ulteriori conseguenze. Sopraggiungono pronti e disponibili due gentili poliziotti, che chiedono ad entrambi i conducenti coinvolti i documenti di prammatica. M’attendevo seguisse la doverosa richiesta d’esibizione dell’autocertificazione o almeno qualche domanda sulle ragioni del nostro circolare liberamente in presenza delle severe restrizioni. Nulla di tutto ciò; cortese assistenza e discrezione. Ho pensato che se non si verifica quando è in atto un controllo, c’è molto da intendere sul rigore con cui s’esige il rispetto delle misure. Questo, per la circolazione automobilistica, ricca e fluente. Quella pedonale – anch’essa limitata a specifiche ragioni di spostamento – è visibilmente lasciata alla libera scelta di ciascun cittadino, senza che nessuno s’impicci nel far domande o verificare alcunché. Non diversamente, gli arrangiamenti stanno progressivamente, e comprensibilmente, coinvolgendo anche attività commerciali, di svariato livello e tipologia. Il ritrovato attualmente è nel lasciar socchiuso l’uscio dell’esercizio o semiabbassata la serranda. Auspici le molteplici possibilità dell’asporto, è reputata una forma d’adattamento pudica e consentita. Per non parlar degli assembramenti. La recente scomparsa del Pibe de oro ha richiamato a migliaia i suoi fans a riunirsi nel dolore in accorate manifestazioni che, manco a dirlo, nessuno s’è preoccupato nemmeno di disincentivare, figurarsi d’impedire. E non sappiamo quale regalo queste adunate spontanee ci riserveranno nei prossimi giorni. Del resto, le strade son piene di persone, che di rispettare le limitazioni non hanno alcuna voglia, né forse le sentono vigenti. In pratica, è andata inizialmente serpeggiando, ormai platealmente affermandosi una vera e propria ribellione al del cordone sanitario nel quale saremmo al momento collocati, e nel più rigido trai cordoni attualmente possibile. Ora, io non so se gli strateghi del governo nazionale dall’alto delle loro postazioni nella Capitale si rendano conto del danno che si sta generando. Un danno che – oltre a rendere inefficaci le misure di prevenzione in una situazione sanitaria già grave – consolida ancora una volta quella mentalità riottosa al rispetto delle regole, quell’atteggiamento smagato nei confronti dei provvedimenti dell’autorità, quella diffusa propensione ad andare alla ricerca del modo d’eludere i vincoli, che nella storia d’Italia, e del Mezzogiorno in modo particolare, hanno prodotto danni incommensurabili in termini d’efficienza, cooperazione, civiltà. Il prendersi gioco dell’Autorità è stato un carattere nazionale che da sempre ha distinto lo spirito italico. Le infinite retoriche sulla legalità, sul valore delle regole, sull’educazione civica che dovrebbe essere impartita nelle scuole se non anche dispensata con il latte materno, s’infrangono miseramente su d’una cruda realtà dove, dinanzi anche alle più serie norme di convivenza – disposizioni che dovrebbero preservare la salute e la possibilità di curare gli infermi – ognuno fa quel che il cuor gli dètta, s’infischia d’ogni legge, se la ride e magari dà pure di gomito all’amico, sentendosi à la page nel farsi beffe di regole ed autorità. Già, l’Autorità? Dov’è finita l’Autorità? Quanto sta accadendo in questi giorni – tra validità formale ed efficacia reale delle norme, in Italia proprio non corrono buoni rapporti – ha dell’incredibile. Ma, peggio, conduce alla legittimata irrisione. Possibile il Governo non si renda conto di provocare la più deleteria ilarità, esibendo i muscoli in quel di Roma, ma – danni per la ristorazione a parte – non riuscendo a tener ferme nemmeno regole da zona gialla in Campania? Le icastiche espressioni di De Luca che a questa ilarità danno forza e voce – non so quanto opportunamente, ma non ho posizione privilegiata per giudicare nella surreale situazione in cui viviamo – non fanno che testimoniare la cosa forse più grave di tutte: lo sfacelo dello Stato. Uno Stato che vive di vani comandi e che, secondo il peggior modello burocratico, s’appaga e compiace di tenere, quando ci riesce, le carte al loro posto.