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Siamo diventati il paese dove tutto è precario

Opinionista: 

Se dovessimo definire la fase politica nella quale ci troviamo non esiteremmo ad affermare che quella che stiamo vivendo è "l'epoca della precarietà". Tutto appare provvisorio, incerto, non sicuro. Ci svegliamo al mattino senza sapere quel che ci riserverà la giornata. C'è una precarietà del governo sulla cui stabilità non v'è chi sia pronto a scommettere e che deriva, a sua volta, da una condizione di precarietà della maggioranza che lo sostiene, frutto di un'alleanza tra forze politiche che non possono certamente definirsi omogenee, non essendo legate da un progetto comune, ma soltanto dalla volontà di sbarrare la strada allo schieramento contrapposto e di occupare il maggior numero possibile di poltrone: decisamente troppo poco, in verità, per dar vita ad un esecutivo che, come quotidianamente avviene, non riesce a trovare motivazioni valide per andare avanti, sfiorando a ogni pie' sospinto, clamorose rotture. Questa mancanza di un'autentica coesione tra le forze che governano il paese determina non solo una precarietà dell'esecutivo, ma rende precari e incerti gli stessi provvedimenti faticosamente approvati dal Consiglio dei ministri. Se n'è è avuta chiara dimostrazione nel varo delle misure per far fronte al pericolo di una ulteriore diffusione del coronavirus durante il periodo festivo. Si può dire che, prima di giungere ad una definitiva indicazione dei provvedimenti da adottare, non sia passato giorno senza che venissero fornite indicazioni mutevoli e addirittura contrastanti alimentando, in tale modo, un diffuso disorientamento. Ciò complicando la vita dei cittadini e, per conseguenza, generando in loro una forte mancanza di fiducia nella classe politica che, peraltro, in alcuni casi, può anche non essere giustificata, come sempre accade quando si fa di ogni erba un fascio. È possibile liberarsi da questo permanente stato di precarietà della nostra vita politica? Per quanti sforzi possiamo compiere appare difficile dare una risposta positiva a questo interrogativo anche perché - diciamolo senza infingimenti – la mobilità che è diventata una delle caratteristiche delle nostre competizioni elettorali, non contribuisce a fornire un quadro stabile della vita pubblica e porta i partiti a "inseguire" scompostamente gli altelenanti consensi degli elettori. Questa precarietà che, come abbiamo detto, ne costituisce il tratto caratteristico ci induce a esprimere un giudizio decisamente negativo su questa Seconda Repubblica. Stiamo attraversando un periodo di estrema difficoltà che richiede di essere affrontato con determinazione e con idee chiare. Purtroppo il sistema, così come è andato configurandosi nel corso di questi anni, non lo consente. Ecco, allora, emergere una nuova conferma della necessità di quella "grande riforma" che non si realizza con piccoli aggiustamenti spesso più dannosi che utili, ma ha bisogno di soluzioni ampie ed organiche. Di questa "grande riforma", tuttavia, ci si è spesso riempiti la bocca, ma quando si è trattato di darvi concretamente corpo - come ben sa chi ha tentato di avventurarsi su questo terreno - i più si sono tirati indietro, chiudendosi a riccio nella difesa dei propri privilegi.