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Sodano, l’undicesimo apostolo che tradisce

Opinionista: 

La farsa è un genere teatrale gradevolissimo, che si propone di far ridere presentando situazioni grottesche. Ha radici lontanissime nei secoli ed ha prosperato in tutti i paesi. La nostra regione ha un’antica e ricca tradizione farsesca. Basti pensare alle antiche “atellane”, alle rappresentazioni, alla corte angioina, del “Robin e Marion” di Adam de la Halle, alle opere volgari di Sannazaro e Caracciolo, alle “farse cavaiole” con le quali il Braca rinnovò un’antica tradizione salernitana, per finire con la fioritura barocca del teatro di Pulcinella. La farsa, tuttavia, è un genere popolare d’intrattenimento ed io credo che essa non andrebbe mescolata con gli aspetti seri della vita sociale, pur essendo consapevole che, di regola, gli avvenimenti più tragici della storia, allorché si ripetono, sogliono scivolare nella farsa. Gli amici lettori più avveduti si saranno già resi conto che questo preambolo introduce l’argomento cittadino del giorno: il divorzio fra Giggino nostro e il buon Sodano, che finora era stato per il sindaco più bello del mondo quel che Virgilio fu per Dante. Questo divorzio, ovviamente, era piuttosto prevedibile, poiché affonda le radici nell’amena vicenda che vide il Comune costituirsi parte civile contro un vice sindaco il quale, a dispetto di ogni logica, restava in carica. Fiducia e sfiducia, un’antinomia solo apparentemente inconciliabile, proprio come quella fra amore e odio, con la differenza che l’amoreodio sfocia quasi sempre nella tragedia, mentre la fiducia-sfiducia non produce altro che la farsa. In ambo i casi, il rapporto fra le coppie, solo apparentemente bene assortite, si conclude con il divorzio e con le consuete ripicche: non poteva mancare, nel nostro come negli altri casi, il pubblico lavaggio dei panni sporchi. Nel caso del divorzio fra coniugi, a soffrire sono di solito i figli, già vittime delle vicende conflittuali della coppia male assortita. Nel nostro caso, le vittime dovrebbero essere i cittadini. I napoletani, purtroppo, sono abbondantemente vaccinati da quattro anni di pessima amministrazione e, quindi, non soffrono per questa separazione, anche perché tèneno ati uaje d’a parta d’a capa: tasse, buche, viabilità, mezzi pubblici e quant’altro. Si tratta, poi, di una storia già vista: la giunta arancione, che si proponeva di “rompere” (e meglio non poteva riuscire, se quel che si doveva rompere erano le scatole dei cittadini), era composta di dodici assessori, oltre il sindaco. Un numero simbolico, che ricorda l’Ultima Cena e la Tavola Rotonda e, in ogni modo, non porta bene. Ora, Sodano è l’undicesimo apostolo che tradisce: dei dodici, non resta che l’assessore alla scuola Anna Maria Palmieri, una donna che deve avere un carattere eccezionale, se per quattro anni è riuscita a non litigare con il sindaco. Il quale, a livello undici, batte Agatha Christie, che di “Piccoli indiani” ne fece fuori soltanto dieci. Io debbo, a questo punto, chiedere perdono al Signore e ai lettori per l’irriverente accostamento delle vicende gigginesche (il correttore automatico mi suggerisce “gigionesche”, ma mi sembra sgarbato accettare la correzione) a quelle evangeliche: accostamento che si ferma alla prima battuta, poiché Gesù sapeva che la via per la Resurrezione passava per il Calvario, mentre Giggino sembra incredibilmente convinto di dover risorgere (vale a dire di essere rieletto) e in croce vuol metterci soltanto i cittadini napoletani! Intanto, mentre ‘e ciucce s’appiccìcano, ‘e varrile se scàssano (così confermando l’innata abilità allo scassamiénto del sindaco più bello del mondo). Il richiamo ai barili scassati è tutt’altro che casuale. Dobbiamo far cenno, infatti, agli allagamenti delle nuove e celebratissime stazioni della metropolitana. La vocazione delle nuove ferrovie napoletane delle quali i cittadini, quelli sopravvissuti dopo due generazioni di attesa, si apprestano a usufruire, è univoca. Non vanno d’accordo con l’acqua. Il crollo della Riviera e i guai della Villa Borbonica nascono, infatti, dal cattivo rapporto dei progettisti con l’acqua, che un tempo scendeva dalle colline al mare ed essi, novelli Mosè, fermarono con il cemento. Stavolta, invece, si tratta dell’acqua piovana: pensiline troppo corte e scarichi insufficienti producono gli allagamenti, a ogni pioggerella, delle stazioni Municipio e Garibaldi. E non ci vengano a dire, per favore, che sono gli utenti ad appilare gli scoli! È come dire che sul nuovo ponte veneziano la gente sbatte per terra perché gioca allo “sciùlio” e non perché il famoso architetto non ci ha saputo fare! Abbiate la decenza, se proprio dovete sbagliare, di ammetterlo senza cercare stupidi pretesti. In verità, la causa degli allagamenti ben si concilia con la tradizione locale: un tempo, infatti, le famiglie nobili si vestivano di seta, ma non si lavavano, perché nei lussuosi palazzi non ci stavano i cessi. Allo stesso modo oggi, nelle stazioni che tutto il mondo ci invidia, non ci stanno gli scoli. Mi vien quasi da chiedermi se non si tratti di un’omissione voluta. Ricorderete, lettori affezionati, che avanzai un’ipotesi già dal tempo in cui erano strade e piazze ad allagarsi: vuoi vedere che Giggino, con la sua mania di ridurre l’amministrazione a gestione di regate ed altri eventi sportivi, ha bisogno di specchi d’acqua per le competizioni che sponsorizza? Magari, nelle due stazioni si possono disputare due batterie del campionato mondiale di canoa.