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Trump e il ritorno ai giochi di guerra

Opinionista: 

Confermando la sua mediocrità politica, Trump non ha compiuto alcunchè di originale nel riconoscere Gerusalemme come capitale storica di Israele, semmai ha dimostrato la sua pericolosità e rimarcato la totale dipendenza da quei gruppi di potere economico che il suo populismo in campagna elettorale aveva dichiarato di voler combattere. Non proprio tutti, le cambiali elettorali, in America, vanno pagate, prima o poi, in particolare a coloro che rappresentano la destra conservatrice e reazionaria, i gruppi editoriali parapatriottici, i fabbricanti d'armi e di morte, con i loro legami trasversali sia nel sionismo radicale che nell'arcipelago multiforme del mondo arabo. Nulla di originale, perchè da decenni gli inquilini della Casa Bianca, con la risoluzione congressuale del 1995, avevano di fatto avuto il via libera per il trasferimento dell'ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, ma con estrema sagacia si erano avvalsi della facoltà di rimandare di sei mei in sei mesi la firma dell'atto deliberativo, consci delle gravi ed irrimediabili conseguenze politiche. Nulla di originale per il tempo trascorso come presidente, perchè tale atto irresponsabile ed indegno del capo di una nazione a cui tutti, anche i nemici, riconoscono da sempre il ruolo chiave di garante dell'equilibrio mondiale, è in linea con l'inadeguatezza, la volubilità e l'arroganza culturale di un tycoon dal successo ambiguo ma dalla totale mancanza di spessore di uno statista. È la rivincita dell'americano mediocre e medio che popola un po' dappertutto il "grande paese", dai "farmers" dello Iowa e del Wyoming agli allevatori e petrolieri del Texas, dai "workers" del Michigan e del Wisconsin agli eredi schiavisti e razzisti dell'Alabama e della Georgia: tutti uniti da uno slogan che in passato ha contraddistinto gli anni bui degli Stati Uniti, "America first"! L'eminenza grigia di questo riemergere reazionario è un giovane laureato di una università "liberal" californiana, Stephen Miller, 32 anni, fisico scialbo e volto inespressivo, ghost writer e consigliere che scrive e parla di argomenti così importanti senza una preparazione giuridica, ma abbastanza scaltro da manipolare Trump e riuscire a farla franca dalle "purghe" nel suo staff. Ma la storia ci tramanda le rapide ascese e le rovinose ricadute di tali personaggi. Quel che sorprende, in realtà, è la facile presa sul popolo di argomenti, come il Muslim Ban, il rovesciamento della riforma sanitaria di Obama, una dolorosa (solo per i meno abbienti ) riforma fiscale, l'abbandono degli accordi sul clima globale. Tutto ciò fa pensare ad una economia americana vicina al dissesto, alla paura del futuro prossimo, ad un crescente impoverimento culturale della maggioranza dei cittadini, per cui è facile prevedere come queste piccole vittorie nazionalistiche del momento possono trasformare il "sogno" americano in un incubo. È la cecità generale che assale tutti, nel nome dell'America forte, di quel malinteso senso di superiorità che per anni ha fatto guardare al di fuori dei confini e specialmente alla litigiosa Europa, come al Vecchio Stagno da soppiantare con l'effervescenza del Nuovo Mondo. Trump è il prodotto della sconfitta intellettuale americana, dell'incapacità, dopo la guerra col Vietnam, a delineare un cammino di protagonismo e progresso di quella società, che non fosse soltanto indice di consumismo, potenza muscolare o falso libertarismo, che avrebbe dovuto, nella dialettica interna, avere il coraggio di rivisitare la gestione romantica del pensiero kennediano, la contestata leadership di Johnson, costruttore e garante di stabilità internazionale ed accordi di pace, e riconoscere i propri errori. Qualsiasi persona, di destra o di sinistra, intellettuale o no, dovrebbe avere terrore di questo Trump, seminatore di odio, di barriere ed ignorante della storia dell'umanità, e purtroppo non sono pochi, americani a parte, nel mondo, nel nostro Paese, anche sulle pagine di questo giornale, coloro che guardano al biondo emulatore di Berlusconi come al nuovo demiurgo della destra conservatrice e reazionaria internazionale e casareccia, che sognano nostalgici antiche battaglie e scaramucce da combattere, magari in camicia nera, ma purtroppo sarà soltanto un sinistro ritorno a pericolosi "giochi di guerra" ancora in nome di una professione di fede: come se ne avessimo ulteriore bisogno.