Tutta la politica meridionale deve rompere con il passato
In settimana è stato istituito il Comitato per l'individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, preliminari per l'Autonomia differenziata, che supporterà il lavoro della cabina di regia, fase propedeutica alla definitiva approvazione del provvedimento ed alle intese tra le singole regioni e il Governo sulle materie da devolvere. Credo che a nessuno sfugga che proprio mentre si sta giocando una partita decisiva per il futuro del Sud, anche per l’opportunità rappresentata dai fondi del Pnrr, vi sia un deficit di rappresentanza della classe dirigente meridionale e questo rappresenta uno dei punti cardine della questione che né la nomina della Cabina di regia e né quella del Comitato hanno smentito. Non si capisce chi possa difendere, anche a livello parlamentare, gli interessi del sud. Anche il presidenzialismo, che secondo alcuni avrebbe dovuto bilanciare l'Autonomia differenziata, nel senso di dare ampie garanzie sul futuro del sud in questo paese, sembra fermo al palo anche perché richiede modifiche costituzionali mentre Calderoli sta procedendo spedito verso il compimento del progetto della Lega. Il rischio è che si approva l’Autonomia differenziata e che con questa cali definitivamente il sipario sul Meridione in una situazione nella quale solo negli ultimi anni, senza quindi voler ripercorrere la storia dall’unità ad oggi, per ripianare il deficit dello Stato si è operato sul taglio delle spese pubbliche d’investimento e a pagarne le spese sono state soprattutto le opere pubbliche previste al Dud che sono state tagliate impietosamente. Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, nel loro saggio “Se muore il Sud”, pongono l’accento sulle responsabilità della «peggiore classe dirigente occidentale», una classe politica che negli anni non ha fatto nulla per arginare il declino e far sì che la storia del meridione si trasformasse in uno spietato elenco di occasioni perdute. E noi che abbiamo vissuto e viviamo ancora qui al Sud, come testimoni viventi di un declino inarrestabile, sappiamo che proprio la classe politica del Sud è stata in molti casi protagonista in negativo, complice e più spesso attiva promotrice dello scempio sistematico del territorio e del sacco di risorse, statali ed europee. Tutto ciò non può comunque rappresentare un alibi per nessuno né la giustificazione per far passare con l’autonomia differenziata meccanismi che servano ad aumentare il gap economico e sociale tra le diverse aree del paese. Deve servire piuttosto per aprire una riflessione che deve coinvolgere le élite meridionali e la classe politica capace e di buona volontà, se ancora esiste, per combattere e distruggere le cause che hanno impedito al nostro meridione di non utilizzare al meglio le risorse, certamente inferiori a quelle che sono state negli anni destinate al nord, e del perché non ci si è affidati alla spinta propulsiva dei nostri figli migliori consentendo che emigrassero in altre aree del paese contribuendo spesso alle fortune di altri territori. La vicenda di Bagnoli è il paradigma per meglio comprendere di come qui nel sud si sprechino occasioni di sviluppo importanti. Tutto è fermo, una società pubblica di trasformazione urbana fallita, milioni di euro spesi per bonifiche che poi si scoprirà mai realizzate, una discussione continua tra le forze di sinistra che hanno governato Napoli in questi trent’anni dove ognuno immaginava di realizzare la propria utopia, un elenco infinito di commissari e sub commissari che nulla hanno prodotto, la dichiarazione di sito di interesse nazionale, e ciononostante il risultato è che siamo al palo. Eppure, sono in molti, anche autorevoli economisti, a sostenere che quello meridionale è un problema nazionale proprio perché il gap tra le due parti del Paese ha ripreso a crescere a un ritmo insostenibile mentre il Nord si meridionalizza sempre più. Giorgia Meloni pensa di risolvere il problema rendendo sempre più centrale nelle politiche del governo la volontà di rendere l'Italia meridionale un hub energetico che dovrebbe poi abbracciare tutto il Mediterraneo, con l'aiuto di Eni. Un Piano Mattei per l'Africa e il Mediterraneo che nella sua idea dovrà diventare «un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane». Per questo la presidente del Consiglio ha scelto come destinazione del suo primo viaggio istituzionale del 2023 l’Algeria, e pochi giorni dopo la Libia. Non c’è dubbio, però, che al di là della sincera volontà della Meloni il Mezzogiorno riuscirà a salvarsi solo se riuscirà a coinvolgere le sue energie migliori mettendoli in condizione di riprendere a immaginare un futuro perché, con l’autonomia differenziata che incombe, il sud è davanti ad un bivio e deve scegliere se rompere con il passato o morire. La politica meridionale tutta, da sinistra a destra, deve rompere con il passato, bisogna, come sostenuto da Rizzo e Stella, spezzare «le catene clientelari con la più vecchia, scadente e corrotta classe politica del mondo occidentale», dire basta con i politici più spregiudicati, i feudatari della burocrazia e i capibastone mafiosi la gestione ricattatoria, clientelare ed elettorale della cosa pubblica.