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Ucraina: l’ombra della bomba Trump stavolta ha ragione

Opinionista: 

“Prima arrivano i tank, poi le testate nucleari. Bisogna mettere fine adesso a questa guerra folle. E non sarebbe difficile”. Così Donald Trump. Per molti ha fatto null’altro che ribadire il suo pensiero sul conflitto in Ucraina, per molti altri ha riecheggiato quanto affermano molti esperti di strategia globale, e non solo. Ma in Italia, salvo rarissime eccezioni, la dichiarazione di Trump che pure rappresenta una buona metà dell’elettorato statunitense, a memoria dei recenti risultati delle elezioni di mid term è stata ignorata o finita annegata nel mare magnum delle più scontate cronache del conflitto ucraino. Non nel resto del Vecchio Continente, tantomeno negli Stati Uniti. Proprio ieri, infatti, il “Figaro” riportava previsione e titolo dell’ultimo volume appena edito in Giappone (“La Terza Guerra Mondiale è cominciata”) dell’antropologo e storico Emmanuel Todd che nel 1976 previde, con ben quindici anni d’anticipo, il crollo dell’Urss, che pure stava per raggiungere l’apice della sua potenza militare e influenza nel mondo, alla vigilia dell’invasione dell’Afghanistan e della perdita per gli Usa di una pedina importante sullo scacchiere strategico come l’allora alleato Iran. Di là dalle diverse attribuzioni di colpa, è un timore che serpeggiava ma che ora accelera. Papa Bergoglio ne è consapevole, ma s’è limitato a sostenere come di questo passo si continui a procedere verso un nuovo conflitto planetario, cioè l’apocalisse. E questo è il convincimento di numerosi politici ed esperti di relazioni internazionali: dopo i tank arriveranno a Kiev i jet F16 e altre migliaia di mercenari, anzi volontari (perché i mercenari sarebbero solo sull’altro fronte) e presumibilmente Mosca, se attaccata in Crimea, non si limiterà a testate cosiddette convenzionali sui suoi missili iperbarici, e.... In America la frase di Trump è rimbalzata su media e social (Facebook ed Instagram) che a Trump hanno ridato voce e bisogna sperare che l’ex presidente ci risparmierà logore stravaganze e qualche tonnellata di parole inutili che lo fanno a volte rassomigliare a un vecchio politico nostrano. C’è però da aggiungere che sia Trump, sia il “nostro” quando non aprono bocca per tenerla impegnata troppo a lungo strumentalmente cioè per cose di loro stretto interesse elettorale o di niuno sanno dire cose importanti. E le sanno pure fare, a ricordare gli storici accordi tra israeliani e arabi a firma di Trump e di Pratica di Mare tra Occidente transatlantico e Occidente euroasiatico NATO e Federazione russa a firma di Silvio Berlusconi. È stato Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente Volodymyr Zelensky, a smentire (involontariamente?) l’altro giorno Joe Biden. Il presidente statunitense aveva assicurato che i 31 carri armati Abrams, che si sarebbero aggiunti ai due battaglioni di complessivi 80 carri armati Leopard 2, non erano “diretti contro la Russia ma a difendere gli ucraini dalla Russia: se Mosca ritira i suoi soldati dall’Ucraina torna nello stesso istante la pace”. E invece Podolyak ha assicurato che, grazie alle nuove armi (e agli aerei F16 che pure dovrebbero essere prossimamente forniti) “i russi scopriranno la guerra anche nelle città degradate e pigre di Mosca come di San Pietroburgo o Ekaterinburg”. Ancora una volta Henry Kissinger ricordando sulla “Stampa” Gianni Agnelli e i loro scambi d’opinione ha ribadito che anche la Russia è Europa ed è nell’interesse dell’Occidente un negoziato basato sul realismo. In sintesi: l’Alleanza Atlantica offra garanzie di voler arrestare la sua progressione verso la Russia, Kiev accetti il ritorno della Crimea alla madrepatria russa, Mosca si accontenti dell’autonomia della regione (o parte di essa) russofona come previsto dagli accordi di Minsk calpestati poi da Kiev. Lucio Caracciolo ha ammesso apertamente che il pericolo di una deriva nucleare si avvicinerebbe se Kiev, forte delle armi ricevute dall’Occidente, puntasse sul territorio che Mosca considera madrepatria. E ha fatto un’analisi impietosa della situazione, per concludere che né Zelensky e né Putin possono permettersi di non vincere, per cui soltanto Washington può imporre all’Ucraina l’accettazione di trattative fondate sul pragmatismo. La notizia dell’invio a Kiev dei Leopard 2 e delle prossime forniture di nuovi armamenti ha parzialmente smorzato l’impatto dello scandalo ucraino che ha portato alle dimissioni di un folto numero di esponenti di governo e consulenti anche presidenziali, i quali intascavano tangenti, complessivamente milionarie, sugli aiuti europei e americani che ricevevano. Alla faccia dei soldati che marciscono nel gelo delle trincee e dei tanti compatrioti che crepano sotto le bombe mentre loro se ne stavano in t-shirt nei bunker riscaldati della capitale. Uno scandalo venuto alla luce grazie agli hacker russi Dpr, ma che era noto da tempo all’intelligence dei governi occidentali, che invocavano un deciso repulisti e che invece ricevevano come risposta che si trattava della “solita propaganda dei nemici russi”. Il terremoto nel governo del presidente Zelensky si è risolto in una raffica di dimissioni ai più alti livelli, ma secondo alcune fonti anche di stupefacenti omissioni, e di...un solo arresto, quello di Vasyl Lozynsky, viceministro alle Infrastrutture (tutte o quasi da ricostruire nel Paese bombardato quotidianamente), che sarebbe stato colto mentre infilava in tasca una bustarella (si fa per dire) di 400mila euro. L’altra dozzina di dimissionari comprende consulenti presidenziali, 6 viceministri, 5 governatori regionali e addirittura un vice procuratore generale. Gli aiuti occidentali all’Ucraina costituirebbero almeno il 60% del bilancio dello Stato: su questi si faceva (e probabilmente ancora si fa) la cosiddetta “cresta” su tutto o quasi. Persino sulla gavetta dei militari trasferita sui banconi dei supermercati a prezzi triplicati. Conti in banca notevolissimi, appartamenti sfarzosi, Porsche e altre auto super, vacanze all’estero a dispetto delle proibizioni, ecc. ecc. È da sottolineare, tuttavia, che l’Ucraina con la corruzione convive dall’indipendenza raggiunta nel 1991, tanto che figura ai vertici della lista dei Paesi più corrotti del pianeta: al 122esimo posto, poco distante dalla Russia. L’ha ereditata dal sistema comunista, che addirittura l’esaltava: la corruzione era, infatti, alimentata dalla carenza di beni di consumo e dall’indigenza, si dipanava dal gradino sociale più basso in un crescendo che, passando per i negozi o gli alberghi esclusivi per i burocrati del Partito comunista, sfociava ai massimi livelli del potere. Persino in forme comiche: agli incontri con Breznev, per fare un esempio, leader e diplomatici stranieri si presentavano con gli Swatch al polso per non essere costretti a scambiare in segno d’amicizia o a sugello di un accordo i loro Rolex d’oro con una patacca d’orologio sovietico a incerta carica manuale. In Ucraina al business della guerra che sta arricchendo oltre ogni limite l’industria militare, segnatamente Usa, si sommerà quello prossimo venturo o chissà quando della ricostruzione, che già da un semestre vede americani ed europei, nonché altri semi-alleati vicini e lontani concorrere accanitamente all’accaparramento dei settori nei quali si svolgerà il ricco banchetto degli appalti. Negli Stati Uniti lo scandalo venuto alla luce a Kiev ha allargato la diffidenza verso la politica di Biden in ambienti repubblicani, dove si leva la sollecitazione a “smetterla col rilasciare assegni in bianco”. L’invio di armi sempre più offensive all’Ucraina e l’afflusso notevole di “volontari” dai Paesi Nato segnatamente dalla Polonia desta vieppiù preoccupazione e contrarietà nell’area pacifista del Partito democratico. E il conflitto ha costi in crescita per i popoli del Vecchio Continente mentre niente prova che l’incendio si spenga soffiando sul fuoco. Lo scontro con la Russia ripropone quello tra l’Occidente euro-atlantico e l’Occidente euro-asiatico, mentre la sfida sull’Indo-Pacifico dovrebbe essere tra l’intero Occidente e la Cina. Ma farlo capire ad alcuni statisti (si fa per dire) come il ministro degli Esteri della Germania, Annalena Baerbock, dei Verdi, è impresa vana: “Combattiamo una guerra ha affermato contro la Russia e non tra di noi europei”. Dichiarazione nemmeno da bar dello Sport ma fatta sorprendentemente all’Assemblea del Consiglio d’Europa, suscitando accese reazioni nel mondo politico tedesco e un intervento del cancelliere Olaf Scholz (“Non siamo in alcun caso in guerra con la Russia”). E questo, proprio mentre il “Monde” scopre che c’è meno dittatura in Russia che in Ucraina: a Mosca c’è gente ha rivelato che improvvisa “memoriali” anche per le vittime ucraine della guerra e vi depone fiori. Si rischia forse la galera, a far questo, ma in Ucraina si rischia la pelle.