Ucraina-Russia: la pace può attendere
Domani nella base aerea Nato di Ramstein, in Germania, vertice dei ministri della Difesa di 50 Paesi i 30 dell’Alleanza Atlantica e gli altri 20 che sostengono l’Ucraina con i rappresentanti del governo di Kiev. Il nuovo ministro della Difesa tedesco, Boris Pistorius, non è escluso che anticipi la decisione di Berlino di concedere all’Ucraina i carri armati Leopard II insistentemente richiesti da Volodymyr Zelensky, spalleggiato segnatamente dal presidente statunitense e dai premier britannico e polacco. Significativi gli incontri dell’altro giorno a Washington tra i ministri degli Esteri americano Antony Blinken e britannico James Cleverly e, in Polonia, tra i capi degli stati maggiori riuniti statunitense e ucraino, i generali Mark Milley e Valery Zaluzhnyi. Significativo anche che Pistorius abbia sostituito Christine Lambrecht, travolta da una serie di gaffe, costringendo il cancelliere Olaf Scholz a imporle le dimissioni: sarebbe più pragmatico, cioè meno ostile alla fornitura dei carri armati sebbene anch’egli, come d’altronde Scholz e Lambrecht, socialdemocratico che apprezzò la vantaggiosa apertura alla nuova Russia post-sovietica operata dall’ex cancelliere Gherard Schoeder. E significativo è pure l’annuncio di Ursula von der Leyen degli aiuti supplementari dell’Unione Europea. I contendenti vogliono trattare da posizioni di forza da conquistare sul campo di battaglia. I due fronti si preparano allo scontro di primavera. Gli ucraini vogliono arrivarci con i Leopard II e i missili anti-aerei Patriot (primi arrivi previsti dai Paesi Bassi). I russi con i vertici delle forze armate (e delle milizie mercenarie) disciplinati e i ranghi rafforzati fino a un milione e mezzo di soldati (a dispetto dei risvolti economici negativi per il trasferimento al fronte di un numero così alto di giovani sottratto al mercato del lavoro). Nella base Usa di Grafenwoehr, “ispezionata” nei giorni scorsi dal generale Milley, 500 i soldati ucraini vengono addestrati all’utilizzo dei Patriot: il corso dura due mesi o più. Con questi, sarebbero 3600 i militari di Kiev preparati dagli istruttori delle forze armate americane. A Mosca l’ultima girandola ai vertici militari appare agli esperti al momento almeno non comportare sostanziali mutamenti di tattica, bensì tesa a migliorare l’interazione dei sistemi di comando e controllo, di analisi e d’azione sui campi di battaglia. Questo, mentre l’industria militare è proiettata ad operare 24 ore su 24, nelle fabbriche d’armi convenzionali come nel reperimento di fonti tecnologiche alternative a quelle occidentali, cioè tesa a divenire protagonista di un’economia di guerra. Tuttavia, ancora una volta è stato Henry Kissinger, l’altro giorno con un messaggio al World Economic Forum di Davos, a sottolineare dall’alto della sua cultura, esperienza e saggezza maturate lungo i suoi cent’anni di vita che la via maestra è quella negoziale, che “bisogna evitare una escalation bellica” che sfoci in “una guerra alla Russia”. La Nato “deve offrire garanzie a Mosca” in modo che l’adesione dell’Ucraina all’Alleanza Atlantica “avrebbe un esito appropriato”. Kissinger, insomma, fa intendere ancora una volta che non può esserci vittoria militare: né per l’Ucraina contro un impero multinazionale ridotto ma determinato dalla consapevolezza di resistere ai tentativi di disgregazione, né per la Russia contro uno schieramento di nazioni sviluppate guidato dagli Stati Uniti. Kissinger ha idealmente parlato a nome degli esperti e degli osservatori che individuano la soluzione in un negoziato basato sul realismo, che significa cedere con consapevolezza accettando il male minore. Per dirla in breve: Kiev dovrebbe accettare la “restituzione” forzata della Crimea alla Russia e Mosca l’autonomia per le annesse regioni del Donbass da restituire all’Ucraina. In sott’ordine e sottintesa, una tregua indefinita di tipo coreano: o sulla linea del fronte del 2014, dopo la defenestrazione del presidente ucraino democraticamente eletto Viktor Yanukovich e l’intervento militare russo in Crimea, o su quella precedente al 24 febbraio scorso quando scattò la cosiddetta “Operazione speciale”. Le trattative sabbe meglio per una soluzione di pace o per una tregua su modello coreano possono aprirsi a metà strada tra l’ulteriore fornitura di armamenti occidentali all’Ucraina, che ha diritto a difendersi, e la rinuncia di Kiev all’illusione di riconquistare la Crimea. Sebastopoli significò, oltre due secoli fa, per l’impero russo la mancata stazione di lancio verso la conquista della “seconda Roma”, Costantinopoli, per incoronare la capitale dell’impero dei Rus’ come Terza Roma. Da allora ad oggi Sebastopoli significa per la Russia sicurezza: controllo del Mar d’Azov, del Mar Nero, della rotta per il Mediterraneo con gli sbocchi sull’Oceano Indiano e sull’Atlantico. A circa un mese dall’anniversario dell’attacco russo all’Ucraina, “Der Spiegel” ha redatto la prima cronistoria dell’ennesimo conflitto tra slavi, ch’è pure l’ultimo confronto armato intereuropeo, sebbene per interposte nazioni e circoscritto. Non poteva che essere un giornale tedesco a redigere il primo resoconto. La Germania essendo agli occhi dei leader Dem Usa colpevole di aver puntato a un rapporto privilegiato sia con la Russia, per assicurarsi l’energia a buon mercato necessaria alla propria industria, sia con la Cina, per riversare su quell’immenso mercato i prodotti. Non a caso, la Germania resta l’unico Paese dalla bilancia commerciale attiva con la Cina (accumulando una buona dose d’invidia da parte dei partner UE). Compie, tuttavia, l’errore (chissà se di proposito) circa data d’inizio e cause che l’hanno partorito: il 2014 con la conquista russa della Crimea scrive “Der Spiegel” dimenticando a costo di ripeterci il ruolo della Nato a guida americana, già con Clinton: il Kosovo strappato alla Serbia, lo straripamento dell’Alleanza Atlantica nell’est Europa dell’ex Patto di Varsavia e poi nell’ex Urss, il tentativo di penetrazione nel Caucaso attraverso la Georgia e la prospettiva di una cintura del Mar Nero con la minaccia dell’adesione dell’Ucraina alla stessa Naro, infine il “golpe” a Kiev contro il presidente democraticamente eletto (con il voto decisivo del Donbass) Yanukovich e poi il tradimento degli impegni presi a Minsk relativi all’autonomia delle regioni russofone, dove invece veniva in seguito proibita addirittura la lingua russa, all’ucraino simile e da sempre parlata e riconosciuta. L’errore del Cremlino di attaccare circa un anno fa l’Ucraina s’è purtroppo accompagnato a molti altri errori.