Un appuntamento importante campo di prova per Renzi
Molti hanno lamentato la scarsa attenzione e la modesta partecipazione dei cittadini in occasione della campagna elettorale che pure ha investito ben 25 capoluoghi di provincia tra cui cinque grandi città: Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna. Accanto all’ormai sempre più inquietante fenomeno del disinteresse per la politica e del discredito che essa ha accumulato in questi ultimi anni specialmente a livello dei governi locali, bisogna aggiungere, per spiegare la fiacchezza della competizione, l’interferenza delle polemiche e degli scontri anche inusitatamente aspri sul referendum costituzionale, malgrado che ci separino ben 4 mesi dal suo svolgimento. Il primo responsabile di questa situazione è il presidente del Consiglio, il quale, temendo forse un esito non favorevole o comunque non esaltante nelle elezioni locali, ha ancora venerdì, a comizi chiusi, dichiarato che «la campagna elettorale è importante per la città [si riferiva a Roma] e non per il Governo, per il quale sono importanti altri momenti, come quello del referendum». Qualcuno ha giustamente ipotizzato che la sovraesposizione mediatica sul referendum sia stata null’altro che un espediente per risvegliare un elettorato poco interessato ai destini delle città e dunque un tentativo di incanalare consensi verso i candidati del Pd e non perdere le grandi città. Si spiegherebbe così il ripetuto refrain: “se si perde vado a casa”. E, tuttavia, malgrado il tentativo di esorcizzare l’esito delle elezioni nel caso andassero male [questo articolo è stato scritto a urne ancora aperte] per il partito di Renzi, esso provocherà comunque un’onda lunga che arriverà sino ad ottobre. Non solo, ma lo voglia o meno Renzi, un voto che coinvolge milioni di italiani, pur avendo come obiettivo un giudizio su politiche territoriali e su candidati locali, non potrà non implicare anche una valutazione delle scelte politiche ed economiche del Governo. D’altro canto, che cosa può attrarre di più il cittadino elettore tra la promessa della soluzione di un problema del quartiere della sua città e il voto referendario presentato come l’occasione, niente meno, per entrare finalmente a vele spiegate nel porto della seconda Repubblica, come dicono sostenitori illustri e meno illustri del Sì al referendum? Cosa peraltro non vera, giacché, come dicono giustamente i manuali di filosofia e di scienza della politica, il passaggio a una nuova Repubblica si determina solo quando cambia la forma di governo e questo non riguarda la riforma Renzi-Boschi che mantiene (fortunatamente) in vita il sistema parlamentare, sia pur depotenziato rispetto al potere esecutivo del Governo. Insomma, io credo che le elezioni comunali – e ancor più i ballottaggi che probabilmente acuiranno lo scontro politico e che costituiranno il banco di prova della consistenza sia della forza del Movimento 5 Stelle sia del fenomeno dell’astensionismo – non possano non rispecchiare anche l’attuale livello di gradimento dell’opinione pubblica verso il governo del presidente-segretario. Se esse premieranno i candidati del Pd, allora i prossimi mesi saranno una marcia di facile avvicinamento alla vittoria nel referendum e al rafforzamento del leader e della sua politica decisionistica. Al contrario, potremmo assistere all’inizio di una crisi del renzismo dagli sbocchi per il momento del tutto imprevedibili.