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Un inno balordo dall’oscuro significato

Opinionista: 

Ha lasciato stupefatti la decisione del Senato di approvare l’altro giorno la legge, già passata alla Camera, che assume come Inno Nazionale Italiano quello scritto nel 1847 dal giovane Goffredo Mameli e Che i parlamentari del 1946 avevano adottato provvisoriamente. Il mio illustre concittadino e amico Costantino Mortati, uno dei più prestigiosi padri costituenti, mi disse che all’indomani della nascita della Repubblica ci si trovò senza un inno nazionale e fu giocoforza accogliere la proposta di adottare quello di Mameli per il solo fatto che nel clima di quell’anno il grido “L’Italia s’e desta” evocava lo spirito della Resistenza antifascista. Ma, nel contempo, venne prese l’impegno di indire un concorso nazionale per la scelta definitiva dell’inno nazionale, che interpretasse le aspirazioni del popolo verso un radioso avvenire di lavoro, di pace e di giustizia sociale. E che avesse la solennità degli inni nazionali americano, inglese e tedesco. O dell’Inno a Roma di Giacomo Puccini. È evidente che i deputati e i senatori della Repubblica non l’hanno letto oppure ritengono irrilevante che si tratta di un inno balordo, storicamente datato, quando “eravamo calpesti e derisi”. E non hanno capito che questo bellicoso e ossessivo invito a “stringersi a coorte per combattere fino alla morte” è in palese contrasto con l’art. 11 della Costituzione che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Gli interventi militari in Kosovo, in Iraq e in Afghanistan sono stati errori tragici da non ripetere. Si dichiarano paladini della Costituzione “la più bella del mondo”, ma poi la violano continuamente. Del resto ci sarà pure una ragione se l’inno nazionale italiano è stato dal 1861 al 2 giugno 1946 la Marcia reale “Viva il Re, viva il Re, viva il Re…”. Sostituito, in certe occasioni, da “Giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza”, che era l’inno fascista. Per avere un’idea dell’avventatezza della decisione dei nostri parlamentari è bene conoscere per intero il parto poetico del giovane e Mameli. Fratelli d’Italia, l’Italia s’è desta, dell’elmo di Scipio, s’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria? che schiava di Roma, Iddio la creò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì! (…) Noi fummo da secoli, calpesti, derisi, perché non siam popoli, perché siam divisi. Raccolgaci un’unica, bandiera, una speme, di fonderci insieme, già l’ora suonò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte…(…). Uniamoci, uniamoci, l’unione e l’amore, rivelano ai popoli, le vie del Signore. Giuriamo far libero, il suolo natio, uniti, per Dio, chi vincer ci può? Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte… (…). Dall’Alpe a Sicilia, dovunque è Legnano, ogn’uom di Ferruccio, ha il core e la mano, i bimbi d’Italia, si chiaman Balilla, il suon d’ogni squilla, i Vespri suonò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte….. (…). Son giunchi che piegano, le spade vendute,già l’aquila d’Austria, le penne ha perdute, il sangue polacco, bevè col cosacco, ma il cor le bruciò. Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò, sì! Stringiamoci a coorte, siam pronti alla morte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò sì ! Si tratta di versi insulsi e dall’oscuro significato. Che non hanno nulla a che vedere con le aspirazioni, i bisogni, i problemi di un paese che guarda al futuro. Un paese che, è bene ricordarlo, ha avuto i Premi Nobel della Poesia Giosuè Carducci, Salvatore Quasimodo ed Eugenio Montale e che merita un inno scritto da un poeta e non da un giovane dilettante. Tra l’altro, non è serio rendere ridicoli i nostri calciatori (miliardari e viziati come Buffon, Bonucci, Chiellini, De Sciglio, Eder, Candreva, Insigne, Immobile…) che, prima delle partite della Nazionale, devono cantare “Stringiamoci a coorte, Siam pronti alla morte, Siam pronti alla morte. L’Italia chiamò, sì”. Solo i Parà della repubblica di Salò cantavano “ ce ne freghiamo della brutta morte”. E solo i terroristi islamici sono pronti alla morte in nome di Allah. Nessun parlamentare italiano lo è.