È una società con tre neoplasie
Cari amici lettori, voi sapete quanta poca considerazione io abbia per il nostro sistema mediatico, tanto simile a quello che fu proprio dell’impero sovietico. L’esperienza accresce quotidianamente il mio disgusto, tanto più che la nostra società si avvia velocemente verso il disastro finale. No, amici lettori, non intendo annoiarvi con il thriller d’infimo livello costruito intorno alla scissione dem: è vero che Renzi è peggiore di Attila, ma, dopo il trattamento fatto all’Italia, non mi turba se riuscira a non far crescere più l’erba sul praticello dell’ultima (per ora) mutazione partorita dal camaleonte comunista. Lo stimolo alla mia indignazione viene dall’improvvisa scoperta delle malefatte commesse dall’ex presidente della Camera, il molto onorevole Gianfranco Fini. Ricordate? Sono passati sette anni. Questo noto personaggio, dopo aver costruito una grossa carriera politica sfruttando le nostalgie neofasciste, si era già scoperto antifascista. Un antifascismo da ventunesimo secolo, non più sanguinario autore di stragi ma accorto gestore di discutibili affari; non più brigate Garibaldi, Comitato di Liberazione Nazionale e Piazzale Loreto ma Cooperative rosse, Banca Etruria e centri di accoglienza. Prevedibile successore di Silvio Berlusconi al governo dell’Italia, Gianfri affossò la sua carriera politica (unica attività nella quale si era cimentato, oltre la pesca subacquea da dilettante), agitando il ditino e pronunziando la celebre frase “Che fai, mi cacci?”, destinata a rimanere nella storia come “Alea iacta est” o “Il mio regno per un cavallo”. Gli italiani sapevano già tutto sulla casa di Montecarlo, strappata alla causa che aveva motivato il testamento della contessa. Sapevano dei Tulliani, delle società off shore, dei paradisi fiscali, del prezzo stracciato, di Gianfranco ed Elisabetta che compravano la mobilia e di altre cosucce poco commendevoli. Quelli che non sapevano erano i magistrati antifascisti, autori di un’archiviazione più veloce di qualsiasi altro atto giudiziario nella storia della Repubblica, i politici antifascisti che, a cominciare da re Giorgio, avevano offerto supporto, benedizioni e garanzie, e i giornalisti di regime, secondo i quali si trattava soltanto di una “macchina del fango” in azione. Lo scandalo, quindi, non ebbe seguito. Certo, quelli che erano stati gli elettori di Gianfranco diedero compatti un giudizio morale e politico senza appello, una condanna capitale che escludeva per sempre il novello antifascista dalle persone meritevoli di stima e voto, sicché Il presidente della Camera, pur completando il mandato ad onta di fasulle promesse di dimissioni, si ritrovò, insieme ai pochi compari che gli erano rimasti vicini, senza alcun seguito. Aveva, forse, ingenuamente creduto alle garanzie dei politici antifascisti che, ovviamente, lo mollarono dopo averlo usato. Ora, e soltanto ora, tutti scoprono quei fatti, ai quali si aggiungono accuse relative a loschi affari con l’imprenditore dei giochi d’azzardo, che sembra abbia fatto miliardi grazie ad amichevoli provvedimenti governativi emessi quando Fini era al governo; imprenditore che, a differenza dei politici antifascisti, sembra fosse capace di concreta gratitudine. Ora, e soltanto ora, tutti si scandalizzano. Io non mi scandalizzo per le nuove accuse, poiché il giudizio su Fini è da anni definitivo e non modificabile. Mi scandalizzo, invece, per il comportamento di quanti per sette anni hanno finto di non sapere e ora, improvvisamente, aprono gli occhi che avevano accuratamente foderato di prosciutto. Come possiamo sperare di avere una società sana quando sono all’opera, impunite e quasi sempre premiate (come i magistrati chiamati al governo), tre neoplasie tanto gravi come la politica antifascista, la magistratura antifascista e il sistema mediatico di regime? Gianfri l’antifascista è soltanto un episodio, ancorché esecrabile. Al suo posto è salito in alto Matteo petrusiniéllo, il quale preferisce le banche ai giochi d’azzardo. Egli non ha portato all’altare (rectius, in municipio) un’Elisabetta, ma al governo una Maria Elena; costei, per quanto ne sappiamo, non ha frateli poco raccomandabili, ma un ufficio che finanzia clircoli di prostituzione omosessuale. Se questa è la democrazia, riprendetevi quella che chiamate libertà e andate a godervela altrove!