Vengono dagli “amici” le insidie per il Premier
Mario Draghi ha assunto la guida del governo ottenendo dal Parlamento un voto quasi plebiscitario (l'unico no è venuto da Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni); una percentuale di consensi talmente alta da costituire quasi un record nella nostra storia repubblicana. Guardando, dunque, la grande messe di voti ottenuta in Parlamento, l'ex presidente della Banca centrale europea e il suo governo dovrebbero considerarsi in una botte di ferro, al riparo dalle insidie e dai tranelli che frequentemente hanno fatto da contrappunto alla vita pubblica del nostro paese. Detestiamo la dietrologia, quella tendenza tutta italiana che porta a vedere sempre, dietro gli eventi della politica agguati e complotti e alimenta la cosiddetta "politica del sospetto", che non pochi danni ha provocato, fornendo errate interpretazioni degli avvenimenti, diffidenza e sfiducia con esiti spesso paralizzanti. Riteniamo, peraltro, che il momento che il paese sta attraversando sia tale da richiedere alle forze politiche la massima concentrazione nella ricerca delle soluzioni per i gravi problemi sul tappeto. Purtroppo, invece, uomini e partiti non riescono a liberarsi da quella vocazione alle trame ed al complotto che identificano nel nostro il paese di Cagliostro, il grande ciurmatore del diciottesimo secolo. Al di là del consenso che ufficialmente gli manifestano, i partiti tramano nell'ombra nella segreta speranza che il presidente del Consiglio abbia la durata più breve possibile cosicché essi possano tornare a ordire le loro macchinazioni. Ecco, dunque, che Pd e cinquestelle, soprattutto da quando l'ex presidente del Consiglio ha assunto la guida di questi ultimi, e il neo segretario Letta ha deciso - improvvidamente - di fare di questa alleanza un punto fermo della sua strategia, sembrano supportare la presidenza Draghi sperando (una speranza frustrata dai sondaggi) che, prima o poi, si creino le condizioni per un ritorno di Conte, che non ha mai digerito la sua estromissione da Palazzi Chigi, alla guida del governo. In realtà, Pd e Cinquestelle sentono che, con l'avvento di Draghi alla presidenza del Consiglio, si è decisamente contratto lo spazio per le loro manovre, i loro "giochi", i loro intrighi. Ciò li rende insofferenti tanto più che, malgrado tutto, sono consapevoli di non poter, almeno per il momento, rovesciare il governo, senza incorrere nelle ire di Sergio Mattarella. Ugualmente "costretto" a sostenere Draghi è Matteo Salvini. Il leader del Carroccio ha un piano ben preciso per arrivare a Palazzo Chigi dopo un voto che sancisca la vittoria elettorale del centrodestra. Sa che, a tal fine, è necessario che fornisca un'immagine di sé meno aggressiva e meno ostile all'Europa. L'appoggio dato a Draghi è proprio in quest'ottica e serve a favorirlo rispetto alla sua "alleata" e "rivale" Giorgia Meloni. Il suo sostegno al presidente del Consiglio è, insomma, del tutto strumentale e non a caso, in più di un'occasione, non ha nascosto di non condividerne l'operato. Ad onta, quindi, del vasto consenso di cui dispone in Parlamento che lo mette temporaneamente al riparo da insidie e pericoli, per Draghi è più che mai valido l'antico proverbio: "Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io".