Venuto per caso, diventato per affinità… napoletano
Questa rubrica dà ai lettori del Roma lo sguardo di un abitante straniero di Napoli su aspetti particolari della vita della gente, che divergono da quelli nella sua città d’origine. Parigi, per quanto mi riguarda, ma anche altre città per altri “napoletani stranieri”. Questa settimana Beirut con l’architetto napoletano Mohamad Balluz. La prima volta che l‘ho visto era affianco al proprietario dell‘appartamento sotto al mio, venuto da me per un problema di perdite d‘acqua. Sebbene fosse tra la controparte, ho capito che si trattava di uomo di valore: competente, lavoratore, onesto, gentile... e più napoletano di un vero napoletano. Gli ho dato le chiavi del mio appartamento, chiedendogli di fare le riparazioni mentre sono assente, sicuro che non lo avrei rimpianto. Pensavo che accordargli fiducia dopo un solo incontro fosse eccezionale. Invece, mi ha detto che non ero stato il solo: “Questo è un dono che deriva da mia madre a cui tutti danno fiducia”. La sua napoletanità mi è apparsa volontaria e completa “è stata una fortuna che il destino sia stato questo”, intuendo che era, inoltre lucido. “Uno sguardo, oltre al mio, di un abitante straniero di Napoli, arricchirà la mia rubrica” mi sono detto. Anche se come ho appreso in seguito, lui non è piu straniero: “Sono stato il primo italiano ad aver ricevuto la carta d‘identità in formato digitale, che un mio caro amico informatico, ha introdotto a Napoli prima che nelle altre grandi città». “Napoli ha battuto Bologna sul suo stesso campo di gioco” si è pavoneggiato; “l’hanno celebrato in grande stile in piazza Municipio”. Quando gli ho chiesto se potevo intervistarlo, mi ha subito risposto di sì, dicendo: “Stavo proprio pensando di scrivere un libro sulla mia avventura, lasciando casa mia a Beirut per venire a Napoli”. Ho avuto fortuna ed anche i lettori del “Roma”! È venuto a trovarmi sabato mattina e abbiamo parlato per più di tre ore: una testimonianza preziosa! In questa prima parte, vi racconto del perché lui sia venuto qui, della sua percezione della città rispetto a Beirut, l’accoglienza che ha ricevuto, le sue prime esperienze e i suoi primi successi. Mohamad è il sesto figlio di una famiglia della classe media, una famiglia di lavoratori che è riuscita ad assicurare un’istruzione superiore a tutti i propri figli: “Noi siamo laureati (comprese le due sorelle)”, dice con orgoglio Mohamad, pieno di riconoscenza verso i suoi genitori. Sua madre era sarta e suo padre un ingegnere delle telecomunicazioni per la compagnia svedese Ericsson. Un dettaglio importante perché questo gli darà l’occasione di conoscere il tipo di realtà che si vive a Stoccolma, che si oppone diametralmente a Napoli (vedi Il Roma del 5 marzo). Mohamad precisa che la sua conoscenza del mondo era inoltre dovuta ai numerosi turisti che visitavano Beirut prima che scoppiasse la guerra. “Un Eden”, tanto da conservarne il ricordo. Il 13 aprile 1975, quando la guerra iniziò, Mohamad ha 13 anni. Essendo una guerra civile, le bombe scoppiavano ovunque e non solo sulle linee di confine. La famiglia era d’accordo sul fatto che lui dovesse partire, così come avevano fatto già i suoi fratelli. Ma sarebbero passati ancora 5 anni, il tempo di finire il liceo, con la consapevolezza che andrà a studiare architettura all’estero. Condivide questo progetto con il suo amico d’infanzia e di scuola. Partiranno insieme. Siamo nel 1981, la situazione nel Paese precipita, hanno finito il liceo. Quasi per caso, i due amici visitano l’Istituto Italiano di Cultura a Beirut e vengono a conoscenza della possibilità di partire per l’Italia per studiare architettura a Napoli per l’uno e medicina a Brescia per l’altro. A differenza della Germania, dove si era trasferito già il fratello maggiore, i costi dell’università erano pressoché nulli. Il 19/8/81, i due amici si imbarcano, uno zaino in spalla con il sostegno dei loro genitori, senza nessuna informazione su ciò che avrebbero trovato. L’unica cosa che contasse era partire, allontanarsi dall’odio, dalle bombe e dalla morte. La prima impressione che assale Mohamad non è scontata per il Parigino che sono. Napoli è una città due volte mezzo più grande di Beirut: “Sin da piazza Garibaldi fui disorientato dalle proporzioni”. Ma allo stesso tempo Napoli si rivela più provinciale di Beirut, più isolata dal mondo, senza nessuno straniero. «Le persone non conoscevano la cultura mondiale ma pure cercavano il contatto. Erano accoglienti senza alcun pregiudizio». I miei vicini dei “bassi” alla Sanità, mi lasciavano attaccare al loro contatore con un filo a che io potessi studiare. Napoli è, e sarà sempre, una città molto accogliente e molto tollerante! Circa due settimane fa, stavo camminando giusto dietro un gruppo di ragazzini che sembravano una baby-gang. Ma ecco che una folata di vento fa volare via i cappelli che un vecchio ambulante africano stava sistemando per terra. Senza esitare, i ragazzini si precipitano per raccoglierli. A Napoli le cose non cambiano… né per il meglio né per il peggio: ho letto sul giornale che oggi il 38% dei ragazzi non frequentano regolarmente la scuola. E poi ci si sorprende che le cose non vanno! Questi 5 anni di studio furono felici per il giovane libanese, sebbene difficili economicamente. Comprese appieno la mentalità napoletana, e si fece degli amici: “stavo frequentando solo Napoletani tanto volevo integrarmi”, s’innamorò della città e di una napoletana, amò la Federico II, studiò senza tregua. Alla fine diventò architetto con lode e prese la decisione che la sua vita sarebbe stata qui. “Napoli assomiglia a Beirut per molti aspetti: spontaneità e vivere alla giornata, importanza de rapporti umani e assenza di regole… alla mediterranea”. Durante tutti questi anni Mohamad era animato dal dovere di riuscire per ringraziare i suoi genitori per tutti i sacrifici fatti per i loro figli. Una volta laureato, il seguito fu più faticoso. Lo vedremo la settimana prossima!