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Xi a Mosca: missione di pace a senso unico

Opinionista: 

“La visita del presidente Xi Jinping in Russia è finalizzata alla pace in Ucraina”. Pechino sintetizza così il significato della missione negoziale. Ma se la pace è lo scopo ufficiale e ultimo, le ipotesi e le speculazioni sugli obiettivi subordinati delle discussioni - a Mosca con Vladimir Putin e in remoto (salvo sorprese) con Volodymyr Zelensky a Kiev - si sprecheranno fino alla conclusione del viaggio. Di certo, Xi non ha messo in bilancio un fallimento perché, di là dall’ennesima guerra interslava, la partita è tra la Cina e gli Stati Uniti e da questa sua missione nella capitale russa ha nulla da perdere e tutto da guadagnare. Si è fatto precedere, Xi Jinping, sia da una clamorosa terza rielezione a capo del Partito comunista e dello Stato, sia dallo stupefacente successo diplomatico e strategico costituito dall’accordo mediato tra Arabia Saudita e Iran, ‘bandiere’ di due conflittuali interpretazioni dell’Islam, nemiche nello Yemen, rivali acerrime sul teatro mediorientale, ormai conteso pure dalla Turchia neo-ottomana e bicefala di Recep Tayyp Erdogan. Un risultato che in Occidente nessuno aveva messo in conto, tantomeno il presidente degli Stati Uniti, il quale aveva invece sprecato il duplice successo della politica estera di Donald Trump: niente tintinnar di spade e mutua sopportazione con Mosca da un lato e, dall’altro, una coraggiosa e felice mediazione per la storica intesa tra Arabia Saudita e Israele. Biden ha invece rilanciato la Nato in Europa, ma allargandola al nord scandinavo e proiettandola in Ucraina. L’ha guidata da uno “stato pre-agonico” a una disciplinata sudditanza, ma il costo è catastrofico: ha spinto la Russia - strumentalmente dipinta come rinata e minacciosa Unione Sovietica - nelle braccia di Pechino ed ha umiliato la maggiore nazione industriale europea, la Germania, perché costretta a subìre in silenzio l’affronto del bombardamento del Nord Stream e la rottura della collaborazione con la Russia ch’era stata la stella polare della politica estera tedesca, da Willy Brandt a Gerhard Schoeder e alla stessa Angela Merkel. Il timore di un nuovo tentativo di asse euro-asiatico (Berlino-Mosca- Pechino) ha fatto realmente nascere un asse MoscaPechino. In Medio Oriente, Biden ha tentato di rispolverare il compromesso raggiunto da Barack Obama con Teheran sull’uranio - che i mullah tuttavia non rispettavano continuando lo sviluppo dell’arma atomica - col risultato di allarmare Tel Aviv, irritare Riad e spianare la strada all’ ’imperatore’ di Pechino. Se la sua missione non dovesse apparentemente dare risultati eclatanti (com’è avvenuto per il piano di pace presentato dal suo ministro degli Esteri, in realtà bozza di discussione propedeutica alla missione), Xi apparirebbe pur sempre il presidente della seconda potenza mondiale che s’è messo in gioco tentando una trattativa: se non proprio uomo di pace, si rivelerebbe quale leader responsabile che s’affida alla diplomazia. Un guadagno d’immagine e geopolitico. Inoltre, la colpa di un eventuale fallimento a causa della posizione poco ‘collaborativa’ di Kiev sarebbe in ogni caso di Washington e non certo della manodopera ucraina, e sancirebbe agli occhi del mondo il patto tra il Celeste Impero e l’unica potenza transcontinentale del Vecchio Continente (per storia, cultura e popolazione che per due terzi abita nel terzo europeo di territorio); offrirebbe credito all’alleanza tra la Cina industrializzata e sovrappopolata e la Federazione russa fornitrice di energia e con una Siberia spopolata con le viscere ancora imbottite di materie ambìte; potrebbe segnare il condominio di un Artico che s’apre alle vie del commercio e (purtroppo) all’inquinamento dello sfruttamento; darebbe impulso a una collaborazione - militare ed economica - in Africa e in Medio Oriente. Dovesse, invece, la trattativa raggiungere una prima forma di compromesso - una tregua “coreana” che ricalchi gli Accordi di Minsk - il ruolo di Xi Jinping ingigantirebbe. Sarebbe per il presidente cinese una vittoria diplomatica destinata a incidere sui futuri equilibri dello stesso Occidente.