Giuseppe Gambardella (nella foto), napoletano, è laureato in giurisprudenza e appassionato di diritto internazionale. Suo padre, ingegnere e costruttore, era riconosciuto a livello internazionale tra i più esperti nel calcolo del cemento armato. Ha trascorsi politici nell’amministrazione del Comune di Bacoli. Dal 2011 ricopre a Napoli, il ruolo di Console della Repubblica del Bénin, Stato dell’Africa occidentale, conosciuto nel suo passato coloniale con il nome di Regno del Dahomey. Ha ricevuto il premio internazionale alla carriera Labore Civitatis, il premio internazionale” Sebetia-Ter”, il premio internazionale Wojtyla-Roncalli, il premio Albatros, il premio Cavallo Lavico del Centro Studi Erich Fromm e il riconoscimento accademico honoris causa da parte dell’Accademia internazionale partenopea Federico II Centro Studi di Lettere, Scienze, Arti e Cultura. «Ho sempre avuto una spiccata passione per le discipline internazionali rivolte soprattutto alla causa umanitaria. Spinto da questo grande interesse ho frequentato il corso di preparazione alle funzioni diplomatiche presso la Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, nella sede napoletana di Villa Pignatelli, per partecipare al concorso per l’accesso alla carriera diplomatica. Purtroppo non lo vinsi».

E cosa fece? 

«Avevo conseguito presso l’Università Federico II la laurea in giurisprudenza, con una tesi in diritto internazionale dal titolo “La politica energetica comunitaria” e avevo ottenuto a pieni voti l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, ma era un’attività che non mi piaceva».

Perché allora la facoltà di giurisprudenza? 

«Per accontentare mio padre che avrebbe voluto avere in famiglia oltre ad un ingegnere, anche un avvocato e un medico. Quest’ultimo c’è perché mia sorella Rebecca, per tutti Paola, è ortopedico».

Quindi? 

«Abitavamo e tutt’ora abitiamo a Miseno, una frazione del Comune di Bacoli, in una residenza costruita da papà. Mio padre aveva il desiderio che mi avvicinassi al mondo politico, perciò decisi di candidarmi e fui eletto al Comune di Bacoli prima come consigliere e poi assessore con delega al Commercio, Trasporti e Polizia Municipale ».

Come si trovò nelle vesti di giovane amministratore pubblico? 

«Anche quell’attività non mi era congeniale. Ciononostante mi impegnai al massimo realizzando anche risultati importanti, introducendo sin da subito il mio spirito giovanile e propositivo all’azione politica attraverso iniziative rivolte alla riqualificazione territoriale, turistica e culturale della cittadina, tutt’ora ineguagliate. Con pieno senso di responsabilità, poi abbandonai».

Le è servita quell’ esperienza? 

«Molto. . stata un’importante palestra professionale e di vita. Ha contribuito alla mia formazione perché mi ha dato la possibilità di conoscere e interloquire con persone di rilievo delle istituzioni e della società civile ».

Quando c’è stata la svolta nella sua vita professionale? 

«I prodromi si sono avuti quando andai a Roma e collaborai con l’associazione, Ong “Aipi” (Associazione Italiana Protezione Infanzia) presso il Quirinale. Mi fu affidato di fatto un incarico diplomatico che prevedeva la costruzione di un grosso ospedale nella regione del Kananga, nella repubblica dello Zaire. Questo prestigioso mandato mi fece avere anche molteplici incontri istituzionali con diversi paesi stranieri tra i quali lo Stato Vaticano. Ho sempre creduto che quell’incarico abbia costituito il primo atto di un pi®¥ ampio disegno divino che riguardava la mia persona ».

Ci spieghi? 

«Dovevo partire con degli amici per un viaggio di piacere in un paese sudamericano. Poi invece andai in Kenya con mia sorella dove conobbi una persona. Quest’ultima apprezzò le mie caratteristiche e soprattutto il fatto che parlavo correntemente l’inglese e il francese. Mi propose di andare in Ucraina da un suo amico. Ne parlai con mio cugino Pippo, ora grafico pubblicitario. Decidemmo quindi di partite per quest’avventura lavorativa insieme ai miei cari amici divenuti tutti ottimi professionisti: Sergio Mauro, insegnante di scienze; Michele Carannante, dirigente di un’azienda di cosmesi; Carmelo De Masi, ingegnere e direttore alla Mostra d’Oltremare, Roberto Iannuzzi, ingegnere aerospaziale e responsabile di una multinazionale. Erano gli inizi degli anni ’90 e si avvertivano ancora forti gli effetti dello smembramento dell’Unione Sovietica».

Che lavoro faceste? 

«Ci fu proposto di aprire un ristorante. Rimanemmo molto perplessi perché mio cugino era un grafico e io avevo iniziato a fare pratica forense presso uno studio legale napoletano molto noto. In verità andavo in giro con la mia borsa di lavoro nella quale c’era una sola pratica ed era sempre quella. Rientrammo in Italia e parlammo della cosa con un amico che aveva fatto un’esperienza analoga in America con McDonalds. Ci convinse a ritornare. Andai dal mio consulente per regolarizzare la posizione fiscale e la sua segretaria, la signora Cinzia, mi domandò perché andassi in Ucraina. Le risposi inventandomi che dovevo curare alcune pratiche di adozione internazionale, materia che invece conoscevo solo perché l’avevo studiata sul manuale di diritto civile. Allora mi chiese se potevo aiutare sua cugina che aveva in sospeso da tempo una pratica di adozione presso il tribunale di Kiev».

Accettò? 

«Dopo un attimo di sgomento le risposi di si. Arrivato a Kiev andai nell’ufficio che aveva in carico la pratica, incontrai una impiegata che si impegnò a darmi una mano. L’adozione andò in porto, non con la cugina della signora Cinzia, che nel frattempo era rimasta incinta, ma con un’altra famiglia di Bacoli».

Continuò in quell’attività? 

«Rimasi colpito dalla condizione di sofferenza di tantissimi bambini rimasti orfani e decisi di dedicarmi a loro. Mi impegnai con forte senso di abnegazione e diventai uno specialista in adozioni portandone a termine con successo circa novanta. Per poter svolgere al meglio la mia missione, frequentai l’Università Nazionale di Kiev per studenti stranieri “Taras Shevchenko”, dove ho imparato il russo, che è la mia prima lingua straniera dopo l’italiano e appresi discretamente anche l’ucraino. Contemporaneamente mi ero impegnato anche nel sociale».

Poi ci fu un incontro casuale che determinò il suo futuro… «A un convegno conobbi il ministro degli Esteri dell’Ucraina, che aveva in progetto l’apertura di un nuovo consolato a Napoli, per cui era in cerca di un candidato. Tra i tanti aspiranti, scelse me poiché trovava il mio profilo professionale il pi®¥ indicato per ricoprire la carica consolare per tutto quello che avevo fatto per il suo paese e anche perché conoscevo il russo, lingua parlata nella Repubblica Ucraina. Accettai e fui nominato Console a Napoli. La sede era in piazza Carità».

Per quanto tempo lo è stato? 

«Per oltre sette anni e ho dato un grande impulso soprattutto all’attività culturale, scientifica e commerciale tra Italia e Ucraina. Sono orgoglioso di potere affermare che con il mio lavoro ho contribuito a fare conoscere l’emergente Repubblica ex sovietica».

In quel periodo fu colpito anche dalla morte di sua madre... «S®¨, e per me iniziò un periodo veramente molto difficile».

Come ne è venuto fuori? 

«Mi ha aiutato molto mia sorella. Tramite amicizie entrai in contatto con il governo boliviano con il quale ho collaborato dal 2007 al 2008. Andavo spesso in quel paese. Mi fu proposto l’incarico consolare a Genova ma rifiutai. Un giorno fui chiamato dalla Console del Bénin a Torino, la dott.ssa Maria Luisa Badinotti. Rebecca aveva mandato il mio curriculum anche a lei. La diplomatica lo aveva trovato molto interessante e intendeva sottoporre la mia candidatura al Console Generale del Bénin a Parigi Joseph Ménard de Pognon. A Roma l’ambasciata non era stata ancora aperta. Venne a Napoli a casa nostra a conoscermi».

Quando ebbe la nomina? 

«Nel 2011 ho ricevuto la nomina prima dal governo beninese e nel settembre dello stesso anno il gradimento del governo italiano, “l’exequatur”. A novembre aprii il consolato del Bénin a Napoli. Dopo anni intensi di lavoro, ho ricevuto con orgoglio nel 2016 la nazionalità beninese, che ha rafforzato il mio status diplomatico».

Era mai stato in quella nazione? 

«Nel 2010, perché volevo conosce le persone, il territorio e la cultura. Ebbi però la disavventura di avere “il battesimo del missionario”, cioè mi presi la malaria dalla quale sono guarito non senza difficoltà».

Come console di cosa si occupa? 

«Rappresento il governo beninese e la mia giurisdizione comprende tutto il Sud Italia. In questa veste svolgo molteplici attività burocratiche tra cui il rilascio di visti, carte consolari, lasciapassare, procure, legalizzazioni, documenti di stato civile e nulla osta per la celebrazione di matrimoni».

Quanti beninesi ci sono in tutta la sua giurisdizione? 

«Circa duemila».

Da chi è composto il suo staff? 

«Lo staff del consolato è composto da Carmen Illiano, Lucrezia Angela Botta, Morena Altieri, Attaché Touré Issaka Fataou, Leonardo Altomare e Giuseppe Della Marca. Poi ci sono mia sorella Rebecca, la mia fidanzata Angela Luisa De Stefano e i miei preziosi zii Nicola Gambardella e Guglielmina Galgano che ringrazio di vero cuore. Tutto quello che faccio è reso possibile grazie a loro e soprattutto alle associazioni Onlus, alle aziende e ai privati cittadini che negli anni hanno supportato le nostre attività umanitarie con grande entusiasmo, come “Un Sogno per il Bénin”, “Sorridi KonouKonou Africa”, “Insieme per l’Infanzia”, “Missione Africa, Donare… è Amore”, “Dare Futuro”, “Arcobaleno della Vita”, “Plc System”, “Miluma”, “MaxOto”, “Compagnia di Navigazione Grimaldi”, “Agenzia Marittima Autuori”, la “Lombardi Maria s.a.s.”, la “Guacci Spa - Distribuzione Farmaceutica”, l’Azienda “Raimo srl”, la“Firenze Ricami”, etc… Ci tengo particolarmente a ringraziare anche le “Aziende Grafica Montese snc” e “Publi Progress ’98”, rispettivamente di Franco Marasco e Isaia Della Ragione, che sostengono da sempre il nostro operato e il popolo beninese attraverso il loro costante impegno. Ci tengo inoltre a precisare che il consolato, sin dalla sua nascita, vanta una costante collaborazione con l’Università di Napoli “L’Orientale”; una partecipazione attraverso stage che permette a molti giovani di affacciarsi alla vita diplomatica e alla causa umanitaria guadagnando esperienza e una crescita professionale, e d’altro canto permette a noi di avere a disposizione la loro energia, la passione e la voglia di fare che rende il nostro operato sempre pi®¥ dinamico e all’altezza delle sfide che si presentano giorno dopo giorno».

Svolge anche missioni umanitarie? 

«Non sono connesse all’incarico istituzionale di console. Le faccio per mia volontà. In cinque anni ho abituato il ministero degli Esteri beninese a queste mie iniziative e ogni due mesi vado a Cotonou, sede del governo, per presentare i miei progetti ».

Quanti ne ha realizzati? 

«Il Consolato del Bénin a Napoli ha finora coordinato e realizzato la costruzione di 21 pozzi per l’acqua potabile, bene essenziale per i beninesi, la costruzione di 5 edifici scolastici, l’istallazione di un impianto fotovoltaico per l’Orfanatrofio Yeten, la ristrutturazione e l’allestimento del nuovo reparto maternità del Centro di salute di Ganvié e altre preziose opere di pubblica utilità, volte ad aiutare i pi®¥ bisognosi. Grazie al nobile gesto della famiglia Scotto, Aldo e Massimiliano, di Filomena della Ragione e Adelaide Di Meo, inizierà a breve la costruzione del 22°„ pozzo di acqua potabile. Prenderà  il nome della giovane giornalista flegrea Ornella Scotto, prematuramente scomparsa. La realizzazione di questo notevole progetto darà acqua potabile ai villaggi del Comune di Kétou».

È di pochi giorni fa la sottoscrizione del protocollo d’intesa con l’associazione “Donare è… Amore” presieduta da Pina Pascarella. Qual è l’obiettivo? 

«Insieme intendiamo realizzare progetti di cooperazione internazionale, volti alla promozione di attività in ambito educativo, socio-assistenziale, sportivo e umanitario. La collaborazione era iniziata già lo scorso anno con la realizzazione, nel settembre 2016 a Cobly, di una struttura scolastica in memoria di Vincenzo Pascarella intitolata “L’ecole en memoire de Vincenzo Pascarella”».

Perché ha deciso di fare questa attività? 

«Perché ho contratto la malaria e mi sono reso conto delle esigenze di quella popolazione, soprattutto di quanto bisogno hanno dell’acqua. Quello che mi ha catturato completamente e immediatamente sono stati i sorrisi di quei bambini».

Quanto tempo la impiega la sua attività? 

«Lavoro a tempo pieno 24 ore su 24».

Ha qualche rimpianto? 

«Mio padre è deceduto un mese prima che mi laureassi e perciò non abbiamo potuto condividere la gioia di quel traguardo raggiunto. Abbiamo vissuto troppo poco insieme, ma comunque è riuscito a insegnarmi e a trasmettermi i veri valori della vita, primo fra tutti l’onestà, la correttezza intellettuale e la bellezza di fare del bene al prossimo. Tutti i miei successi li devo e li dedico ai miei genitori: a mia madre Maria e a mio padre Luigi. Sono sicuro che incessantemente mi proteggono e mi guidano dall’alto».